andreotti craxi

Il tempo che passa tende a smussare gli spigoli e ad addolcire il ricordo, ed è passato ormai molto tempo dagli anni della cosiddetta “Prima Repubblica”: più di due decenni, un’intera generazione. Può essere utile quindi ricordare a chi allora non c’era, o a chi c'era ma oggi mostra una romantica nostalgia per quell’epoca, come funzionavano le cose. Anzi, come “non funzionavano”.

C’era un partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana, e alcuni partiti satelliti. Poi c’erano due partiti di opposizione inconciliabili, il PCI e l’MSI. E c’era un altro partito, il PSI, collocato a cavallo, in una posizione indefinita, tra la maggioranza e l’opposizione del PCI.

In ogni caso, lo schema era questo: fatte le elezioni, il partito di maggioranza relativa esprimeva un presidente del consiglio, che riceveva la fiducia delle due camere grazie al sostegno dei partiti satelliti e del partito a cavallo tra maggioranza e opposizione. Dopo alcuni mesi i dissidi interni al partito di maggioranza relativa o tra quel partito e i suoi alleati portavano alla sostituzione del presidente del consiglio con un altro, e alcuni mesi dopo con un altro ancora. Quando non si riusciva più a trovare la quadra si andava a elezioni anticipate.

Le elezioni anticipate però non servivano ad esprimere una maggioranza diversa, come nelle democrazie mature, poiché sui due partiti di opposizione, portatori di ideologie antidemocratiche, pesava una “conventio ad escludendum” che precludeva loro alleanze di governo. Servivano solo ad esprimere nuovi equilibri all’interno dei partiti di maggioranza attraverso la legge elettorale proporzionale e il meccanismo delle preferenze: chi ne aveva di più contava di più, e la giostra poteva ripartire per un altro giro.

Il tutto si è retto per molti decenni grazie ad alcune congiunture astrali molto particolari: in primo luogo, non c’era il pericolo che i due partiti di opposizione, il PCI e l’MSI si alleassero. In secondo luogo, il PSI è diventato un fedele alleato della DC senza che questa cosa provocasse alcun mal di pancia agli elettori della DC. In terzo luogo, c’era la possibilità di spendere, soprattutto a debito, per alimentare questo sistema di potere.

Ci sono delle analogie tra il panorama politico di oggi e quello che ha consentito lo sviluppo di questo costoso sistema di potere? Sì, ce ne sono. C’è un partito di maggioranza relativa, il PD, e ci sono alcuni piccoli partiti satelliti. Ci sono due partiti di opposizione, M5S e Lega, sui quali grava una fatwa simile a quella che impediva l’accesso al governo al PCI e all’MSI. E c’è un partito, FI, che come il PSI dell’epoca potrebbe partire dall’opposizione per poi finire a puntellare il governo del PD.

Manca una legge elettorale proporzionale, ma a quanto pare l’avremo molto presto, quando la Consulta accoglierà i ricorsi sull’Italicum, e mancano le preferenze multiple che furono abolite da un referendum nel ’92 - ricordate? Tutto cominciò proprio da lì - ma che potrebbero rientrare dalla finestra mascherate da doppia preferenza di genere in ossequio alle quote rosa.

Tutto a posto, quindi? Basta tornare al proporzionale e ci garantiremo un futuro senza M5S o Lega al governo? D’altronde anche loro sembrano preferire far caciara all’opposizione piuttosto che assumersi responsabilità di governo. Aspettiamo la sentenza della Corte Costituzionale, e via, verso la Prima Repubblica. In alto i calici! A Fra’, che te serve?

Neanche per idea. Se anche il PD e i suoi alleati - non si sa bene come - ottenessero un numero di seggi sufficiente per dar vita a un governo, ci sarebbero altri numeri di cui tenere conto: negli anni ’50 il debito pubblico era di poco superiore al 20% del PIL. Quando il sistema è andato in crisi, nella prima metà degli anni ’90, era al 120% del PIL e oggi siamo ancora a quei livelli, con un sistema economico però molto più deteriorato da un decennio di crisi. La Prima Repubblica ha bisogno, per funzionare, di una copertura finanziaria che oggi non c’è, e non ci sarà mai.

E poi, dato che i numeri dovrebbero contare qualcosa anche quando si parla di politica, non è affatto detto che il PD e FI avrebbero la maggioranza per governare insieme. Anzi, è praticamente certo che non l’avrebbero, e di parecchio. Quello che invece è certo è che l’elettorato del PD, che ha già digerito malvolentieri la vicinanza di Verdini, non sopporterebbe Berlusconi come partner di governo: una alleanza PD-FI provocherebbe una rottura a sinistra che eroderebbe ancora di più la base parlamentare di questo “pentapartito 2.0”. Di più, la Lega e il M5S sono distanti, ma non tanto distanti quanto lo erano il PCI e l’MSI. Una convergenza tra questi due partiti è una ipotesi tutt’altro che remota, soprattutto se il M5S uscisse dalle urne come primo partito e il Presidente della Repubblica fosse costretto a concedergli la possibilità di formare un governo. E i numeri oggi sono più favorevoli a questa opzione, che alla sua alternativa moderata.

Quindi il giochino non potrebbe funzionare, e non funzionerebbe. Il risveglio da questa stagione di wishful thinking - la mattina del lunedì dopo le prossime elezioni - potrebbe riservare numerose docce gelate e cadute multiple dal pero: l’Italia non saprebbe darsi un governo, nessun governo, dopo aver dimostrato di non sapersi riformare.

Einstein definiva la follia come la pretesa di fare più volte la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Sperare di salvare l’Italia attraverso il sistema politico-istituzionale che l’ha portata alla dannazione ha tutta l’aria di essere un caso di scuola di allucinazione collettiva.

@giordanomasini