Della Vedova rotaie

In pochi se lo ricordano, nessuno ne ha parlato diffusamente in questa campagna referendaria, ma gli italiani si sono già espressi sulla riforma costituzionale.

Non l’hanno fatto optando tra due scelte, come accadrà domenica, ma attraverso una vasta consultazione pubblica con ampi questionari che ha coinvolto più di 200mila persone per un tempo pari a circa 4 milioni di minuti. È successo durante la fioca palingenesi riformatrice del governo Letta, nella stagione dei “vorrei, ma non posso” e dei “non ho idee, ma qui resto”.

La consultazione pubblica fu una delle due gambe su cui si basò il percorso (ri)costituente inaugurato nell’estate del 2013 dall’allora ministro per le riforme, Gaetano Quagliariello.

Il lungo rapporto descrive un processo metodologicamente solido. Certo, una consultazione pubblica non vale un referendum, ma se ben costruita, ricorda la letteratura, può e deve valere molto di più di un sondaggio, in quanto è affiancata ad un percorso di informazione. La consultazione non ebbe la pretesa di produrre un campione rappresentativo ma poté avvicinarsi ad esso grazie al contributo di ISTAT che fu Garante del processo partecipativo nel 2013.

Cosa dissero gli italiani al tempo? E quanto ritrovano di tutto ciò nella riforma che andranno a votare domenica? Lo scopriamo anche associando a ogni macro-capitolo della consultazione (e del quesito) un grado di accordo con quanto approvato dal Parlamento.

1) Superamento del bicameralismo paritario

Solo il 9% degli italiani era a favore del mantenimento del bicameralismo perfetto. L’abolizione o la trasformazione del Senato era già allora argomento molto discusso: il 41,8% proponeva il monocameralismo, il 40% di differenziare funzioni e composizione del Senato. Nei questionari di approfondimento, però, il 56% avrebbe preferito un Senato composto da rappresentanti provenienti dagli Enti territoriali (per il 60%, sia dalle Regioni che dai Comuni).

Grado di accordo:

Gradoaccordo 3

2) Riduzione del numero dei parlamentari

Per il 54% dei partecipanti alla consultazione, il taglio del numero dei parlamentari veniva considerata una priorità massima o alta per aumentare l’efficienza del Parlamento.
Grado di accordo:

Gradoaccordo 4

3) Le leggi dei cittadini in Parlamento

Si è parlato molto in questa campagna elettorale di riduzione del potere dei cittadini, citando l’aumento del numero di firme (da 50mila a 150mila) richieste per le leggi di iniziativa popolare. Il nuovo art. 71, tuttavia, introduce anche la garanzia della discussione, in accordo con quanto espresso dal 38,5% degli italiani. Una quota consistente, comunque inferiore al 53,6% che chiedeva la garanzia della discussione senza aumento di firme. Un piccolo particolare: dal 1946 a oggi l’elettorato italiano è quasi raddoppiato, passando da più di 28 milioni a più di 50.

Grado di accordo:

Gradoaccordo 3

4) Referendum e quorum mobile

Per il 63% dei cittadini andavano introdotti meccanismi per agevolare il raggiungimento del quorum al referendum abrogativo. La riforma aggancia quest’obiettivo all’aumento del numero di firme, in sintonia con oltre il 35% di chi voleva una valorizzazione dell’istituto referendario. Addirittura un 6,5% voleva solo aumentare il numero di firme senza incidere sul quorum...

Grado di accordo:

Gradoaccordo 3

5) Titolo V

Il 65% dei partecipanti alla consultazione chiedeva un aumento delle materie di competenza esclusiva dello Stato. Tra le materie da attribuire alla competenza esclusiva dello Stato, prevalevano chiaramente Tutela della Salute, Tutela e sicurezza del Lavoro, Rapporti internazionali e con la Ue, Energia e Grandi reti di Trasporto.

Grado di accordo:

Gradoaccordo 4

Citiamo brevemente questi cinque temi salienti sapendo che ci sono molti altri punti di contatto (il 72% a favore dell’eliminazione delle province) e tanti altri spunti di frontiera (il 39% dell’elezione diretta del presidente della Repubblica), come ovvio in una fase generativa di una politica, peraltro sostenuta da più di trent’anni di discussioni a vuoto.

Non è scontato, però, che la fase generativa e partecipativa di una riforma coincida per gran parte dei suoi esiti col prodotto finale. In questo caso, registriamo una intensa sintonia e una saldatura maggioritaria tra i desiderata e la riforma da confermare.

I meriti di quella consultazione, non doverosamente sottolineati in questa campagna elettorale, vanno però oltre il merito della riforma, per due motivi.

1) La consultazione toglie alibi ai cittadini, al capriccio democritico -fintamente democratico- che ogni volta azzera e critica i processi decisionali una volta elaborata una decisione. Questa riforma, insomma, non parte né nasce da zero e la classe politica che l’ha promossa oggi può dire non solo “non dite che non ve l’avevamo detto”, ma soprattutto “non dite che non vi abbiamo ascoltati”.

2) L’ascolto ha contribuito a far raggiungere un grado di maturazione del dibattito e a offrire una piattaforma decisionale sufficientemente potenti da scardinare il “paradosso della necessità della riforma” formulato da Zagrebelsky. Oggi una riforma assolutamente indispensabile è diventata assolutamente possibile.

Un contributo non banale per una continua rigenerazione della democrazia.