No Mc Donalds

L’hanno chiamata 'norma salva-centri storici': una disposizione varata dal Consiglio dei Ministri che concede ai comuni la facoltà di individuare aree di interesse storico, artistico o paesaggistico in cui vietare o limitare l’apertura di attività commerciali giudicate incompatibili con la tutela del patrimonio. Una norma fortemente voluta dal sindaco di Firenze Dario Nardella, a seguito della vicenda di qualche mese fa che ha visto il consiglio comunale fiorentino opporsi all’apertura di un McDonald’s in Piazza Duomo.

Quella che potrebbe sembrare come una mossa di contrasto al marchio, in difesa delle tradizioni locali contro uno dei simboli per eccellenza della globalizzazione, potrebbe del resto riguardare realtà assai meno globali e di dimensioni decisamente inferiori. Friggitorie, negozi di souvenir, minimarket in prossimità di monumenti o aree di interesse culturale corrono il rischio di finire nel mirino dei sindaci. In sostanza, quello che nelle piazze storiche già valeva per bancarelle e ambulanti viene ora esteso agli esercizi commerciali in generale.

Saranno dunque i sindaci a decidere se le valutazioni di decoro e di bellezza artistica siano più rilevanti delle possibilità di lavoro dei commercianti e dei profitti resi possibili dalla prossimità con aree di rilievo storico. Sennonché, concetti come decoro e bellezza non sono facilmente definibili, e ancor meno quantificabili, in modo che siano tutti d’accordo e in modo da decidere univocamente su alternative spesso incompatibili. È più importante avere una piazza libera da marchi commerciali o la possibilità per turisti e cittadini di scegliere cosa e dove mangiare? È preferibile una vista sgombra sulla cupola del Duomo o la possibilità di un ambulante di lavorare guadagnandosi da vivere? Dobbiamo dare la precedenza alla difesa dell’artigianato e delle tradizioni locali o alle possibilità di risparmio dei consumatori?

Se accettiamo che non esiste – soprattutto da parte della politica – un modo per stabilire una scala oggettiva di preferenze, e se ammettiamo che ciascun individuo possa avere idee differenti sul valore di un bene, allora la prerogativa dei sindaci di far chiudere gli esercizi commerciali diventa sospetta. Non soltanto perché non possiamo supporre che il sindaco o il consigliere comunale di turno, solo perché investito dal voto popolare, siano così saggi da stabilire cosa è più importante per la città e per i cittadini; ma anche per via del rischio concreto che le scelte di quali esercizi premiare e quali penalizzare possano avvenire sulla base di considerazioni che poco hanno a che vedere con l’interesse pubblico. Magari privilegiando l’impresa o il negozio dell’amico, o scegliendo alla luce di pregiudizi ideologici se non xenofobi.

Quanti sindaci non aspettano altro che una prerogativa del genere per far chiudere, con la scusa del decoro, negozi di kebab o minimarket gestiti da extracomunitari (come del resto già accaduto)? In presenza di rischi di tal genere, la soluzione dovrebbe essere quella di limitare le responsabilità decisionali delle amministrazioni comunali, non meno di quelle dei governi. Meglio sarebbe operare con leggi generali relative all’impatto delle attività commerciali sullo spazio urbano – ad esempio sull’emissione di odori o la conformità con l’architettura circostante – anziché ammettere interventi specifici che inevitabilmente introdurrebbero un elemento di arbitrio nelle decisioni del legislatore.

Ma, si dirà, allora decoro e bellezza non vanno tutelati in alcun modo? Purtroppo non esiste una strategia certa per far rifiorire un’area turistica: forse la presenza di un McDonald’s è davvero una zavorra per il turismo di una piazza storica, o magari può aiutare a concentrare ricchezza in quell’area attirando un numero maggiore di consumatori. Poiché nessuno è in grado di risolvere questi dilemmi da solo, la soluzione migliore sembra essere quella di delegare agli individui, alle scelte decentrate di imprenditori e consumatori: i primi cercando di indovinare le esigenze di turisti e viaggiatori, i secondi determinando la sopravvivenza di certi esercizi anziché altri, semplicemente mettendo le mani al proprio portafogli.

È un sistema imperfetto, non c’è dubbio, che non sarà mai in grado di soddisfare tutti allo stesso modo. Ma pensare di risolvere il problema semplicemente sostituendo alle scelte dei cittadini un organo di decisione centralizzato è un’illusione, particolarmente pericolosa in un paese che ha enorme bisogno di svincolare energie per tornare a crescere.