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Per la Turchia è il punto di non ritorno. Ma in un certo senso lo è anche per quell’Europa che di Turchia non ha mai capito molto e per quelli secondo i quali passato Erdogan si tornerà lentamente alla normalità. Non potrebbe esserci nulla di più sbagliato.

Quanto è successo nell’ultimo fine settimana rischia di destabilizzare il Paese in modo irrimediabile. I fatti sono più o meno chiari. I co-segretari dell’Hdp, Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag, sono stati arrestati insieme ad altri 5 parlamentari con l'accusa di sostegno ad organizzazione terroristica. La loro detenzione è stata possibile perché nel maggio scorso la Tbmm, il Parlamento turco, ha votato la sospensione dell’immunità per 138 eletti, soprattutto curdi.

Demirtas, sul quale pendono 77 processi, aveva bollato quella decisione come illegale, dicendo che i deputati inquisiti non si sarebbero mai presentati davanti al giudice e li sarebbero dovuti andare a prendere a casa. Così è stato. Demirtas non ha tutti i torti a non fidarsi della giustizia turca, soprattutto dopo le epurazioni seguite al golpe dello scorso 15 luglio, in seguito alle quali sono stati rimossi migliaia di togati. I procedimenti giudiziari a carico di esponenti della minoranza non hanno mai brillato per trasparenza, e, se in passato era sorto il legittimo dubbio che le prove raccolte fossero insufficienti a dimostrare una reale attività terroristica degli indagati, adesso si rasenta la certezza.

Però occorre aggiungere un paio di particolari, per chiarire il quadro e - spero - far capire al lettore quanto la situazione sia complessa e potenzialmente esplosiva.

Il primo: Selahattin Demirtas è ufficialmente finito dentro per associazione al Pkk. Ma il leader curdo negli ultimi tempi era balzato agli onori delle cronache per aver più volte denunciato il fatto che in Turchia tutti sapevano che ci sarebbe stato un golpe e nessuno aveva fatto nulla per fermarlo, in primis l’entourage del presidente Recep Tayyip Erdogan. In secondo luogo: Demirtas alle elezioni del giugno 2013 era stato quanto mai pericoloso per l’Akp. Pur in presenza di una evidente sproporzione in termini di mezzi economici e spazio sui media, l’Hdp aveva sfondato il 13% portando 80 deputati in parlamento e impedendo all’Akp di conquistare la maggioranza assoluta.

A quel punto - e questo sembra un paradosso, me ne rendo conto - Demirtas si è trovato stretto in mezzo a due fuochi, Erdogan da una parte e lo stesso Pkk dall’altra. Il giovane politico curdo infatti stava cercando di smarcare la formazione politica dalla forte dipendenza dall’organizzazione terroristica, cercando di portare avanti le rivendicazioni della minoranza in parlamento. Demirtas per primo sapeva che non ci sarebbe mai riuscito del tutto. Troppi gli interessi in gioco per quanto riguarda il controllo di un territorio, il sud-est turco, strategico per il traffico di armi e di droga. Ma troppo anche il grado di infiltrazione che il Pkk ha in una parte della società curda. Persino la leadership di Abdullah Ocalan, il fondatore del Pkk e per molti una guida spirituale - per quanto in carcere da anni - da tempo è stata messa in discussione. La stessa organizzazione è divisa al suo interno: da una parte chi aveva dato fiducia al giovane avvocato per i diritti umani e dall'altra chi, come i Tak, i Falchi per la libertà del Kurdistan, probabilmente alla notizia del suo arresto ha pensato che Erdogan gli aveva tolto di mezzo un ostacolo. Il presidente non solo non lo ha certo aiutato, ma si è guardato molto bene dal farlo.

La situazione è grave e complessa. In mezzo c’è la gente. I curdi che scenderanno in strada per protestare e che sicuramente verranno repressi con la violenza. I turchi che fino a questo momento non hanno fatto sentire la loro voce, segno che la società della Mezzaluna è ancora molto prevenuta sull’argomento e che soprattutto non ha capito che Erdogan è pronto ad applicare lo stesso metodo a chiunque si metta sulla sua strada. In questo momento è drammaticamente in atto un processo di sunnizzazione, anche grazie alla massiccia migrazione siriana, ed esaltazione della componente nazionalista del popolo turco, il tutto con un richiamo nostalgico e travisato al passato ottomano.

Una Turchia che di europeo non ha più nulla, nemmeno nelle ambizioni, e che sopravviverà a chi le ha dato questa forma.