Orbán

Il referendum ungherese di ieri aveva ad oggetto, sebbene non dichiarato, la Decisione 2015/1601 del Consiglio, con la quale l'Ue ha disposto misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia. Si tratta della ricollocazione di 40.000 migranti, pro quota, 24.000 dall'Italia e 16.000 dalla Grecia. All'Ungheria spettano 1296 migranti in due anni.

La base legale della Decisione è l'articolo 78, comma 3 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), che stabilisce che "qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati". Inoltre, conformemente all'articolo 80 dello stesso TFUE, le politiche dell'Unione relative ai controlli alle frontiere, all'asilo e all'immigrazione e la loro attuazione devono essere governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra Stati membri, e gli atti dell'Unione adottati in questo settore devono contenere misure appropriate ai fini dell'applicazione di tale principio.

E' materia di legislazione concorrente tra l'Unione e gli Stati Membri, che esercitano i propri poteri nella misura in cui l'area non sia occupata da policy validamente adottate dall'Unione, come nel caso di specie.

Il referendum ungherese non sarebbe stato quindi legalmente capace di sovvertire il principio del primato del diritto comunitario; per rovesciare la decisione, l'Ungheria (che votò contro nella deliberazione dello scorso anno in Consiglio), poteva, come ha fatto, esperire ricorso di annullamento presso la Corte di Giustizia dell'Unione Europea. E' quella l'unica sede per apprezzare la legittimità di un atto dell'Unione e ottenerne, ove ne ricorrano le condizioni di legge, l'annullamento. Da più parti, inoltre, in Ungheria, si sono levate voci critiche sull'ammissibilità di un simile referendum ai sensi del diritto costituzionale interno al Paese: la Costituzione ungherese, infatti, esclude che si possano tenere referendum su materie sottratte alla competenza del Parlamento nazionale, come nel caso di specie, nonchè su obbligazioni derivanti da trattati internazionali (Articolo 8, commi 2 e 3 della Costituzione ungherese).

Si è trattato pertanto di un tentativo di indirizzare politicamente un istituto di democrazia diretta verso un esito giuridicamente impossibile, ciò che sembra essere la cifra interpretativa della sovranità popolare di questi tempi.