Bandiera UE strappata

Il modello 'condominio europeo' può ancora funzionare? All'indomani del vertice di Ventotene tra Matteo Renzi, François Hollande e Angela Merkel, per discutere le priorità dell'Europa del dopo Brexit e in relazione a sfide cruciali incombenti - economiche, geopolitiche - l'interrogativo è forse di interesse. Il modello dei trattati è quello del 'condominio europeo'. Attraverso accordi internazionali si coordinano i contesti legali nazionali e le policies relative ai diversi ambiti di intervento del decisore pubblico - dalla regolamentazione del mercato o di specifici settori, alla gestione della sicurezza, delle frontiere o dei flussi migratori intra- o extracomunitari - facendo salve le sovranità nazionali di ciascuno stato aderente.

Nel corso di questi anni di eurocrisi ci siamo abituati a un dibattito pubblico polarizzato tra 'euroscettici' ed 'europeisti'. Provando a riassumerne le posizioni: i primi sostengono che nell'attuale 'modello condominio' alcuni membri, nei frangenti di crisi - come quella del debito greco - pesano ingiustamente più di altri, e dunque finiscono per influenzare impropriamente le decisioni sovrane dei più deboli; gli europeisti controbattono che sono alcuni stati - come la Grecia, o quelli che non applicano rigorosamente le regole di Dublino sull'immigrazione - ad essere responsabili dei problemi del 'condominio', perché non hanno rispettato o non rispettano trattati liberamente sottoscritti. "L'esproprio di sovranità", in questi casi, non è altro che un intervento per obbligare la controparte a onorare il contratto.

Entrambe le posizioni contengono elementi condivisibili, e non in contraddizione se si prova a osservarli da una diversa angolazione. Il 'modello condominiale' di un'Europa basata sui trattati ha funzionato fintanto che le acque economiche e geopolitiche erano tranquille. Ma di fronte a crisi gravi di varia natura, economiche, geopolitiche o, perché no, militari, tende a innescare processi automatici di disgregazione, che sfuggono al controllo di tutti i decisori, per quanto questi si sforzino di mantenere fede agli accordi. Il rispetto delle politiche di convergenza da parte di un paese alle prese con una crisi di insolvenza o migratoria - o, per i paesi 'virtuosi', l'eccessiva generosità nel concedere deroghe - tendono così a provocare cadute drammatiche di consenso, capaci di far cadere i governi. D'altronde, se i governi, per far fronte alle contingenze e rimanere in sella, agiscono violando i trattati, questi ultimi perdono significato.

La metafora del condominio insomma è fuorviante, perché le regole condominiali servono per disciplinare la convivenza, non per assumere decisioni collettive rese necessarie da problemi inattesi, in un contesto mutevole. Per quelle servono decisori pubblici legittimati a decidere per tutti, che non possono essere sostituiti dal surrogato delle 'politiche di convergenza' stabilite su pezzi di carta sottoscritti magari anni prima, da persone diverse e in situazioni storiche ormai superate.

Il vertice di Ventotene, svoltosi a bordo della portaerei Garibaldi, offre lo spunto per una metafora forse più appropriata: invece che come un condominio, immaginiamo l'Europa come una nave, che deve scegliere rotte e affrontare tempeste e magari assalti di pirati. Per farlo, necessita di un equipaggio e di istituzioni (un comandante, ufficiali, marinai) legittimate ad assumere queste decisioni. Si può pensare di governare una nave con 'regole e obiettivi comuni' liberamente sottoscritte dai membri dell'equipaggio, che tuttavia mantengono autonomia decisionale, ma è probabile che alla prima avversità l'istinto di sopravvivenza personale prevarrà sul rispetto degli accordi, generando un drammatico si salvi chi può.

È comprensibile che i tre leader al momento (dopo il referendum sulla Brexit) più influenti dell'Unione europea abbiano provato, ancora una volta, ad aggirare il dilemma della sovranità, evitando accuratamente di invitare i loro (ormai quasi) 24 omologhi. Decidere un'agenda di priorità collettive europee discutendo in 27 di fronte a urgenze epocali sembra impresa impossibile quasi quanto un'assemblea condominiale alle prese con le decisioni sulla ristrutturazione del tetto del proprio edificio.

Rimane da capire se l'agenda discussa sulla Garibaldi includa l'istituzione di decisori pubblici europei legittimati politicamente ad affrontare le crisi, almeno per quanto riguarda problemi di natura sovrana "federale", come quelli fiscali o relativi alla sicurezza interna e internazionale dell'Unione. È l'unica ricetta che, nelle circostanze attuali, può evitare la disgregazione dell'Unione europea. Il resto sono solo cerimoniose quanto vuote dichiarazioni di fede 'europeista'.

@leopoldopapi