colonna Titanic sito

Dopo il fallimento di Italia Unica e del tentativo di Corrado Passera di scalare e rifondare il centro-destra dall'esterno, oggi Stefano Parisi - con il mandato esplicito di Silvio Berlusconi - si propone di rinnovarlo dall'interno, senza contrapporsi a nessuna delle attuali componenti della coalizione, ma cercando di allargarne il perimetro politico e elettorale, con un messaggio più tradizionalmente liberale e moderato, verso settori dell'opinione pubblica che guardano con diffidenza all'evoluzione dichiaratamente antieuropea, antitlantica e "antimercatista" della coalizione forza-leghista. Una iniziativa che ha provocato curiosità, qualche speranza e pure un po’ di sano scetticismo. Che senso e possibilità di successo può avere il tentativo di dare una leadership "normale" a un centro-destra, che ha scelto di cavalcare la rivolta populista?

Eppure, anche il ragionamento che giudica impraticabile una leadership liberale per un centrodestra illiberale come quello italiano sembra essere inadeguato, se non si amplia la prospettiva e si ragiona sul perché i centrodestra, non solo quello italiano, si trovino in una crisi tanto profonda, che ha sempre più le sembianze di una mutazione genetica definitiva. Partiamo da qualche appunto, in ordine più o meno sparso.

Negli Stati Uniti i partiti sono “scalabili” attraverso le primarie che - seppure non attribuiscano una leadership formale del partito - ne indirizzano definitivamente le politiche. Qui il vecchio modello “reaganiano” del Partito Repubblicano, basato fondamentalmente sull’alleanza tra liberismo economico, conservatorismo sociale e tradizionalismo religioso è stato spazzato via, nel giro di pochi mesi, da Donald Trump: oggi il Partito Repubblicano esprime una leadership protezionista, xenofoba e antimercatista, tutt’altro che bigotta sul piano dei valori morali.

In Europa i partiti sono organizzazioni più “rigide”, le cui leadership sono meno contendibili. Qui - Francia, Austria, Olanda - l’onda non ha trasformato i partiti conservatori, ma li sta svuotando, trasferendo altrove i loro elettori, essenzialmente nei partiti di destra nazionalisti e anti-europei. Anche qui, la componente antimercatista e protezionista è prevalente, come quella xenofoba.

La Gran Bretagna si trova in una via di mezzo tra queste due situazioni: il partito conservatore sta accelerando la sua trasformazione, sotto la spinta della competizione a destra con l’UKIP.

In Italia il declino del proprietario del “centrodestra” ha accelerato una metamorfosi che si era già avviata con il Tremonti dei tempi d’oro. Anche qui, la direzione è sempre la stessa: dal liberalismo al corporativismo, e il fatto che oggi quello spazio sia occupato da Salvini e dalla Meloni è coerente con quella deriva, non in contraddizione con essa.

Quindi, il disastro del centrodestra italiano non rappresenta un “unicum”, come si sarebbe potuto ancora credere fino a poco tempo fa. I benchmark positivi nello spazio conservatore sono sempre meno, in Europa coincidono forse solo con la CDU tedesca, almeno finché sarà in grado di esprimere una leadership carismatica come quella di Angela Merkel. In Italia non si può più dire, come si era soliti fare fino a poco tempo fa, “se solo ci fosse un centrodestra moderno, degno degli altri paesi civili…”

I partiti di tradizione liberalconservatrice stanno perdendo elettori, o si stanno trasformando in qualcosa di molto diverso, e questo sta avvenendo non tanto per colpa delle loro leadership, ma nonostante le loro leadership, che invece hanno tentato in ogni modo - si veda lo psicodramma del Partito Repubblicano durante la campagna per le primarie che ha incoronato Trump - di contrastare questo fenomeno. L’onda spinge dal basso, e il bersaglio è l’establishment, la kasta, le élite. Chi anzi prova a contrastare l’onda diventa automaticamente establishment, kasta, élite, quindi condannato all’insuccesso.

Quindi, se i partiti di centrodestra si stanno trasformando controvoglia (o si stanno svuotando, cosa che fanno ancor più controvoglia) è segno che la metamorfosi sta avvenendo, prima che nei partiti stessi, nel loro “blocco sociale” di riferimento, nelle loro costituency, ovvero quello che si potrebbe definire, attraverso una semplificazione brutale, nel “ceto medio produttivo”, che è passato in pochi anni dal chiedere deregulation e diminuzione dell’intervento pubblico nell’economia (i lacci e i lacciuoli, quante volte li abbiamo sentiti nominare?) al chiedere “protezione”. Ovvero più intervento pubblico in economia, più lacci e lacciuoli, più regole, soprattutto intese come ostacoli alla competizione.

A questo fenomeno, alla storica compressione verso il basso di una classe media occidentale che si potrebbe definire la vera (l’unica?) grande vittima della globalizzazione che ne ha eroso prospettive e potere d’acquisto, e ai rigurgiti populistici che ne conseguono, abbiamo dedicato un’intera monografia, alla quale rimandiamo. Quello che conta è oggi sottolineare come l’opzione liberalconservatrice sia divenuta marginale perché diffusamente percepita come non adeguata a rappresentare i bisogni della classe media. Se prima la classe media voleva più competizione, convinta di poter prevalere in un mondo competitivo, oggi chiede protezione, dato che sente il morso della sconfitta.

Nonostante i partiti “neoreazionari” che interpretano e cavalcano questa deriva non abbiano la più pallida idea di come risolvere il problema - vedi la pantomima seguita al referendum sulla Brexit -, hanno su ciò che rimane dei vecchi centrodestra un incolmabile vantaggio: hanno almeno capito quale è il problema, o meglio, hanno capito qual è il problema dei loro grandi elettori, delle masse che li votano e delle élite che li finanziano, ne percepiscono e sanno rappresentarne bisogni, ansie e paure.

Oggi l’opzione liberalconservatrice - che sia perseguita per mero idealismo o piuttosto per razionalità, come piacerebbe a noi di Strade - appare elitaria e lontana dalla realtà, perché non propone una terapia utile a lenire le sofferenze dei ceti sociali che dovrebbero tradizionalmente esprimerle consenso, e questo a prescindere dall'efficacia generale delle sue ricette (ormai piuttosto varie e sempre più balbettanti, in verità). E questo sembra essere un tratto comune a tutto l'Occidente.

Se finisce per trovare più facilmente domicilio tra le sdraio di Capalbio che tra i capannoni di Monza o Gallarate, una ragione ci sarà.