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Per la Turchia è stato il week-end del golpe. Anzi dei golpe. Rimangono fin troppi dubbi sulle dinamiche ma, visto che difficilmente la verità verrà mai a galla, soprattutto con 3.000 magistrati sollevati dalle loro funzioni, vale la pena provare a guardare al futuro e cercare di capire cosa potrà succedere alla Turchia dentro e fuori i propri confini.

Partiamo dalla situazione interna. Se a poche ore dal fallito golpe operato da una parte delle forze armate alcuni analisti, particolarmente ottimisti, avevano sperato in un atteggiamento più volto all'unità nazionale e quindi mitigato di Erdogan, il presidente li ha ampiamente disillusi. La reazione del Capo di Stato non si è fatta attendere e può essere tranquillamente definita un contro-golpe. Che porta a tre conseguenze, tutte negative.

La prima è un'oggettiva mancanza di bilaciamento dei poteri all'interno del Paese e una crescente pressione sui diritti fondamentali. Il fallito golpe ha dato a Erdogan l'occasione di operare un vero e proprio repulisti di persone sospettate di essere vicino a Fethullah Gulen, il capo dell'altra grande ala della destra islamica turca. Migliaia i giudici e poliziotti sollevati dalle loro funzioni, migliaia i militari arrestati. Purtroppo l'epurazione andrà avanti anche dopo che questo articolo sarà stato pubblicato e servirà a togliere di mezzo anche chi non ha partecipato al presunto golpe, ma non viene considerato sufficientemente allineato alle posizioni del Presidente.

In questa situazione, e siamo alla seconda conseguenza, Erdogan ha preso il controllo non solo delle istituzioni, cosa che, ricordiamolo, ha sempre fatto con il consenso popolare, ma anche degli apparati parastatali. Con i servizi segreti da tempo nelle sue mani, le Forze Armate, la polizia e la magistratura adesso domina tutti I settori della vita civile e militare dello Stato. Se si conta che l'opposizione è già poco efficace di suo e che adesso, al minimo cenno di dissenso, rischia di essere accusata di terrorismo o di golpismo, c'è da scommettere che la sua strada verso la repubblica presidenziale è spianata.

Infine, la terza conseguenza interna, a mio avviso la più pericolosa. Nelle scorse ora si sono viste migliaia di persone in piazza per protestare contro il golpe e difendere la loro democrazia e il loro diritto di voto. A una parte di loro deve andare tutta la nostra solidarietà e il nostro rispetto, ma vanno posti dei distinguo imprescindibili se si vuole capire cosa sia la Turchia oggi e che cosa potrebbe diventare domani. Erdogan era sicuro che avrebbe ottenuto una sollevazione di massa, perché I militari, soprattutto dopo il golpe e i crimini del 1980 non ha lasciato certo un buon ricordo. In secodo luogo, e qui arriviamo al punto, la sommossa è stata ampiamente incoraggiata non solo dal governo, ma dagli ambienti più religiosi del Paese. I muezzin dai minareti hanno fatto risuonare prima la preghiera, poi l'incitazione a scendere in piazza.

Il risultato, è stato fare riversare per le strade una folla inferocita, appartenente alla Turchia più radicale, sottobosco della società fino a pochi anni fa e adesso pienamente leggittimana a partecipare alla vita quotidiana, un domani forse anche politica del Paese. Sono scesi in piazza a migliaia, in mezzo a turchi che manifestavano pacificamente e legittimamente il loro dissenso, indipendentemente dalla loro posizione politica. Ma c'erano anche questi ultimi e non erano certo una minoranza. Le immagini di militari linciati e decapitati hanno fatto il giro del mondo. Non sono arrivate sui giornali, ma sui social sì, numerose testimonianze di persone che vivevano in quartieri laici di Istanbul e che sono state importunate o aggredite mentre si trovavano ai tavolini di un bar. Scene di una Turchia che cambia, anche grazie all'operazione di radicalizzazione di questi ultimi anni e che, in proiezione non fa sperare niente di buono sulla Mezzaluna del futuro. Di fondo, quella terza Turchia di Gezi Parki, che non stava né con Erdogan né con I militari è stata praticamente silenziata, anche grazie ai media, sempre più timorosi e allineati.

Esaurita, seppure con grande sintesi, la parte riguardante le ricadute interne, cerchiamo ora di affrontare le conseguenze che questa nuova Turchia avrà sulle relazioni internazionali. Un primo assaggio lo abbiamo già avuto. Dopo il fallito golpe, la Turchia, importante membro della Nato, ha accusato gli Stati Uniti di avere organizzato o favorito il colpo di Stato, chiedendo l'estradizione di Gulen, che vive negli Usa dal 1999, ufficialmente per motivi di salute. Il segretario di Stato americano John Kerry, che pure venerdì notte, dopo alcune ore, aveva sostenuto Erdogan contro i golpisti, ha risposto dicendo che l'estradizione è possibile solo dietro la presentazione di prove inconfutabili. La Turchia, però, ha reagito alzando la posta in modo inaspettato e bloccando per qualche ora la base di Incirlik, in Anatolia, altamente strategica per le operazioni contro lo Stato Islamico.

Di fondo, dopo questo golpe e il contro-golpe che lo ha reso senza oppositori, Erdogan da una parte è indiscutibilmente più forte, dall'altra è sempre più vittima del suo delirio di onnipotenza, che potrebbe portarlo ad alzare il prezzo anche con l'Unione Europea, soprattutto sull'accordo sui migranti, che usa da tempo come arma di ricatto. A renderlo ancora più sicuro, c'è la rinnovata amicizia dopo un periodo di forte crisi con Mosca in chiave antiamericana. E' un presidente della Repubblica che gioca con grande disinvoltura su più tavoli, che vuole ricucire con Isreale ma solo per entrare nella cordata anti Iran formata da Egitto ed Arabia Saudita.

Un Erdogan sempre più esuberante, senza una chiara visione sul lungo termine, che ha già ampiamente destabilizzato la regione mediterranea con la sua politica estera, e che non si è ancora stancato di fare danni. Di certo, colui che ha trasformato la Turchia da grande speranza a enorme problema.