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L'endorsement di Salvini alle candidate grilline a Roma e Torino e lo sdegnoso rifiuto di Di Maio a qualunque inciucio in vista dei ballottaggi non dicono che gli stati maggiori della Lega e dei 5 Stelle mantengono strategie diverse e non componibili per il voto del 19 giugno. La più o meno esplicita dichiarabilità di una convergenza di interessi, che è nei fatti e nei numeri, è un problema del tutto secondario, che risponde a ragioni di immagine e di convenienza.

Salvini ha tutto da guadagnare dal fare il "generoso" alla ricerca di laiche alleanze anti-renziane e dal promettere sostegni a Roma e Torino mentre il direttorio grillino avrebbe tutto da perdere se mettesse formalmente in discussione la non alleabilità pentastellata con un appoggio, più o meno esplicito, a Parisi. Ma le dichiarazioni e i silenzi, le domande e le risposte sono tanti messaggi che i capi-partito si scambiano e rivolgono all'esterno e soprattutto all'interno delle rispettive compagini elettorali. Non sono la sostanza delle rispettive strategie politiche.

Rimane il fatto che se i grillini voteranno a Milano Parisi e i leghisti (e i seguaci della Meloni) voteranno a Torino l'Appendino e a Roma la Raggi per i candidati renziani le cose si metteranno malissimo, massimizzando i profitti sia per la Lega che per i 5 Stelle, cioè per le forze meno sensibili a una normalizzazione "nazarena" della politica italiana. Quindi c'è da attendersi che Salvini, Meloni e Casaleggio jr faranno tutto il possibile per raggiungere questo risultato.

Ma a spingere i leghisti (con le loro appendici romane) e i 5 Stelle nella stessa direzione non è solo una convergenza di interessi, ma una sostanziale identità di pensiero e di prospettive, una consonanza ideologica profonda che le differenze puramente estrinseche, cioè stilistiche e retoriche, dissimulano in una solo apparente diversità. 

Grillo e Salvini, gemellati a Bruxelles con Farage e Le Pen, non condividono solo un generico atteggiamento anti euro e anti Europa, ma una visione cospiratoria di qualunque processo (anche transeuropeo) di integrazione economica e politica, descritto come un attentato alla libertà e un furto della sovranità italiana. Entrambi propongono come rimedio un agonistico auto-isolamento con i suoi corollari monetari (il ritorno alla liretta e il ripudio di parametri economici imposti come vincoli esterni alla volontà popolare), culturali (il rifiuto del pensiero unico liberal-capitalista, della schiavitù tecnologica e dell'americanizzazione del costume civile) e valoriali (il ritorno al "collettivo", cioè a un'ideale comunitario capace di ripristinare l'unità morale della società attorno a legami oggettivi, cioè territoriali, etnici, morali, religiosi...).

Il tradizionalismo conservatore della Lega, che ostenta diffidenze nativiste pure contro l'evoluzione meticcia della Chiesa cattolica, è ovviamente diverso dalle fantasie new age e dal sincretismo culturale che, dai Vaffa Day alle utopie di Gaia, Grillo e Casaleggio sr hanno confezionato come una sorta di immaginario prêt-à-porter per la rivoluzione dell'o-ne-stà. Però anche in questo caso le consonanze sono più sostanziali delle differenze. Lega e 5 Stelle predicano la riappropriazione sovrana del potere di autogoverno, la liberazione dal dominio "straniero", il radicamento nella dimensione locale (con cui quella nazionale coincide) come misura autentica e non puramente formale dell'identità politica. Un intero repertorio di temi del nuovo pensiero reazionario è condiviso e sviluppato, con differenze di accenti ma non di direzione, da leghisti e grillini, che - ripetiamo - non casualmente si ritrovano assieme a Bruxelles sulla stessa barricata antieuropea, visto che è ovviamente l'Europa, per entrambi, il simulacro e il ricettacolo di ogni male esorcizzato e temuto.

Il più vecchio e il più giovane partito del Parlamento sono ovviamente divisi da una storia che ha visto il primo precipitare negli inferi della vergogna tardo-particocratica (i diamanti, le lauree comprate, lo scambismo politico-affaristico delle sue folte schiere di consiglieri, assessori e amministratori pubblici) e il secondo arrivare di slancio al 25%, spinto proprio dallo sdegno per i magheggi della Casta e dall'esigenza di una larga parte dell'elettorato italiano di proclamare ipocritamente la propria non appartenenza al sistema politico corrotto. Ma anche su questo tema leghisti e grillini hanno conquistato un punto di convergenza sostanziale in un "onestismo" questurino e manettaro, esibizionisticamente antipolitico e piazzarolo, che - per l'ennesima volta - trasforma la polemica politica nel solito gioco a "guardie e ladri".

Che dunque a Roma, Milano e Torino la Lega e i 5 Stelle vogliano marciare divisi per colpire uniti è del tutto normale. Ad essere strano, sarebbe il contrario. E non è detto che gli elettori dell'uno e dell'altro partito, sedotti e spronati dall'occasione di "asfaltare" Renzi, non rispondano in massa allo stesso riflesso dei propri capi.

@carmelopalma