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Alla fine, sembra ormai piuttosto chiaro, questa benedetta "flessibilità in uscita" si farà, in un modo o nell’altro. Il dividendo in termini di consenso di un intervento "calmierativo" della riforma Fornero è troppo elevato perché un governo i cui numeri non sono - dopo il referendum di domenica - per nulla tranquillizzanti, possa rinunciarvi, ed infatti non vi rinuncerà.

In un paese, d’altronde, in cui le pensioni dei padri pagano anche il sussidio di disoccupazione dei figli, non c’è alcuna ragione di credere che un intervento così smaccatamente a favore dei padri non possa beneficiare del consenso intergenerazionale che ha sempre accompagnato qualsiasi misura generosa dal lato dell’uscita dal mercato del lavoro, dai tempi in cui si poteva andare in pensione dopo 14 anni sei mesi e un giorno di contributi versati per far posto ai giovani, o più che altro alle loro illusioni.

Perché alla fine il problema è tutto qui. Potrebbe essere legittimo caricare le spalle dei giovani occupati del costo di nuovi pensionati solo se gli anziani in uscita dal lavoro venissero rimpiazzati celermente da giovani attualmente disoccupati. E’ questo il senso dell’allarme lanciato ieri da Tito Boeri: nelle pieghe dei conti dell’INPS si scorge l’esistenza di “generazioni perdute”, di giovani che hanno tali e tanti “buchi” nella loro storia contributiva - lunghi periodi di disoccupazione, in soldoni - da far ragionevolmente prevedere che la loro pensione non sarà dignitosa e arriverà tardi, addirittura oltre i 75 anni di età. Ma se la drammatizzazione degli appelli di Boeri sembra effettivamente preludere a misure che favoriscano l’uscita dal lavoro degli over 55, costi quel che costi (e costerà parecchio, dice Padoan, tra i 5 e i 7 miliardi di euro da subito), non è affatto certo che la tanto attesa “staffetta generazionale” ci sarà, che i prepensionamenti liberino posti occupabili da nuovi lavoratori.

Anzi, la storia d’Italia, che di prepensionamenti ne ha visti a gogò, racconta esattamente il contrario: nessun baby pensionato o pre-pensionato è mai stato rimpiazzato da un giovane disoccupato, almeno non in una misura che sia stata percepita dagli indicatori statistici, come illustrava bene Thomas Manfredi da queste colonne giorni or sono.

Se poi dovremo escludere la possibilità di sostanziosi haircut agli assegni pensionistici, che saranno respinti al mittente dalle parti sociali - qualsiasi contro-riforma della riforma Fornero, siamo pronti a scommettere, si scriverà Boeri ma si leggerà Damiano - il rischio è che alle stesse nuove generazioni che si illude di volere aiutare con la staffetta generazionale, oltre al costo di un numero maggiore di pensionati faremo pagare anche gli interessi di nuovo debito pubblico.

I 35enni che rischiano di andare in pensione a 75 anni nel 2055 avranno un destino migliore se torneremo a mandare in pensione gli over 55 nel 2016? Sembra proprio di no. Lo avranno anzi peggiore se si continuerà a non intervenire sui fattori di produttività che frenano da ere geologiche la crescita di questo paese, dirottando per l’ennesima volta le risorse necessarie sulla previdenza. Non è un paese per giovani, e sembra che continuerà a non esserlo po'.