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In occasione della domenica delle Palme il Papa è tornato con parole dure sul tema dell'accoglienza negata ai rifugiati, ai profughi. Parlava all'Europa, naturalmente, anzi: agli europei.

Non so se e quali conseguenze ciò possa avere all'interno della Chiesa, ma su questo tema oggi si apre un altro e diverso capitolo di quello scisma di cui aveva scritto Pietro Prini, a proposito del disallineamento, sui temi cosiddetti eticamente sensibili, delle scelte individuali dei cristiani dalle regole loro dettate dalla dottrina ecclesiastica.

Sul terreno della politica, questo dissidio non è però, come lo definiva Prini, "sommerso" nei comportamenti individuali devianti dai precetti (sulla contraccezione, l'aborto, l'omosessualità o l' eutanasia), ma è palese ed esplode come contrapposizione netta e rivendicata. In particolare, a prendere direttamente o indirettamente di mira le posizioni "buoniste" del Pontefice sono molti leader nazionalisti e anti immigrati che si ergono a paladini delle radici europee, naturalmente cristiane, contro la decisione "scellerata" della cristianodemocratica Merkel di accogliere i rifugiati siriani, secondo le leggi dello stato, prima che della morale e della religione.

Gli stessi politici - gli esponenti di quel centrodestra di nuovo conio che ha preso l' egemonia del proprio campo - sono pronti a manifestare contro qualsiasi annacquamento ecumenico del Natale o della Pasqua, feste simbolo della cristianità, ma sono ancora più pronti a cavalcare la paura nei confronti degli stranieri predicando e praticando (in Europa o in alcune regioni del Nord Italia) l'ostilità nei confronti dei profughi, accusati, nella migliore delle ipotesi, di togliere lavoro e welfare "ai nostri". E, detto di passaggio, nel caso italiano sono anche quelli più ligi nella lotta contro i diritti dei gay, la regolamentazione delle scelte individuali nel fine vita o la legalizzazione della cannabis.

Sui temi dell'immigrazione e della protezione dei profughi lo scisma diviene perfino più profondo, e segna per molti il passaggio dalla religione ad una ideologia materialista della tradizione, svincolata dalla Chiesa, dalla sua teologia e dalla sua pastorale.

Non voglio così prendere le parti di Papa Francesco, come molti autorevoli laici stanno facendo, considerandolo un faro per chi naviga nelle tenebre della modernità. Apprezzo il suo richiamo sui migranti, che come tutti gli uomini - per dirla con Filippo Mazzei, l'illuminista toscano che ispirò a Jefferson quel famoso passaggio della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America - hanno "il diritto alla ricerca della felicità". Guardo con interesse le sue aperture sulla famiglia e la sessualità, importanti anche se prudenti e tardive. Considerando il mercato e la libertà economica globalizzata uno strumento di affrancamento dalla povertà per miliardi di persone, trovo poi controproducenti i suoi interventi "anti-capitalisti" sui temi sociali ed economici.

Il punto, però, per me, non è di iscrivere arbitrariamente il Papa al campo politico della società aperta qualora convenga, salvo poi dolersi della sua predicazione in altri passaggi: non potrà ad esempio essere la contrapposizione di un "confessionalismo" buono ad uno "cattivo", al di là delle rispettive sincerità o strumentalizzazioni, a sciogliere il moderno conflitto tra società cristiane ed islamiche.

Il punto è che l'ancoraggio in grado di consentire all'Europa di evitare la deriva del populismo nazionalista e xenofobo (tutt'altro che inedita, anche nella storia recentissima) è rappresentato dall'umanesimo liberale ed illuminista e dal principio di sovranità della legge nella cornice dei principi costituzionali.

La laicità delle istituzioni è un presidio per la libertà di tutti non "contro" le religioni, ma "a favore" di tutte le persone, che abbiano una fede, l'abbiano avuta o ne siano estranee. C'è sufficiente potenza nella natura laica delle democrazie liberali, in perenne trasformazione come è doveroso che siano, per affrontare al meglio tempi complicati come questi. Il dubbio è che i laici e liberali non ne siano essi stessi consapevoli a sufficienza.