trumpclinton

“In buona sostanza quello che è successo oggi è che Hillary Clinton è stata eletta Presidente. Da qui in poi abbiamo otto mesi di iperventilazione prima che la cosa sia ufficializzata”.

Così ha twittato martedì sera Tony Fratto, che era stato uno dei portavoce della Casa Bianca ai tempi di George W. Bush. La vittoria di Trump è stata esattamente quella che i sondaggi pronosticavano: in Florida ha stracciato Marco Rubio (il quale, sconfitto duramente nel suo Stato, ha gettato la spugna), accaparrandosi il lauto bottino di 99 delegati in palio nel Sunshine State, mentre in Ohio è stato battuto di quasi 10 punti dal Governatore di quello Stato, John Kasich, il quale gli ha soffiato i 66 delegati aggiudicandosi i quali Trump avrebbe altrimenti chiuso la partita.

A questo punto Trump faticherà a raggiungere il numero magico dei 1237 delegati che gli garantirebbe la candidatura, ma è sostanzialmente escluso che a quel traguardo arrivi Cruz o Kasich, sicchè l’ultima spiaggia degli anti-Trump rimane lo scenario, sempre evocato e mai concretizzatosi (l’ultima volta che se ne è vista una è stata nel 1948 con la candidatura di Adlai Stevenson), della convention “brokered” o “contested”: nella quale cioè nessun candidato detiene in partenza una maggioranza, che si deve invece costruire, analogamente a quanto accade nei congressi di partito a cui siamo abituati dalle nostre parti.

L’idea di un ticket fra Cruz e Kasich (cioè di un accordo che vedrebbe il secondo proporsi come candidato vice del primo) per sommare i delegati e i consensi dei due circola insistentemente in queste ore, ma non pare un’ipotesi molto concreta.

Ormai sostanzialmente imbattibile è invece Hillary Clinton, che martedì ha di fatto chiuso la partita contro Bernie Sanders, vincendo per la prima volta anche fuori dal Profondo Sud e recuperando il distacco presso l’elettorato bianco. Per intenderci: il vantaggio che lei ha ora sullo sfidante è circa triplo rispetto a quello che a quest’epoca Obama aveva su di lei otto anni fa. L’unica vera alea a pesare ancora sulla sua candidatura è quella della potenziale incriminazione per il modo illegale in cui aveva fatto transitare dal proprio server privato le email scambiate quando era Segretario di Stato. Ma si tratta di una decisione che compete al Ministro della Giustizia – quindi all'amministrazione Obama. Assai improbabile, quindi.

Prepariamoci, dunque, a una campagna elettorale che avrà come protagonisti i due candidati meno amati degli ultimi decenni. “Gli storici e gli esperti di strategie elettorali stentano a trovare precedenti occasioni nelle quali più di metà del Paese ha mantenuto con altrettanta ostinazione una opinione tanto bassa dei due protagonisti della campagna”, osservava ieri Michael Barbaro sul New York Times

Ma attenzione a generalizzare: uno dei due è più impopolare dell’altra.