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Viviamo in un paese dove inventare tasse sempre nuove è lo sport più praticato da governo e parlamento, complici l'illusione di risolvere tutto con le solite tasse di scopo e l'ossessione di trasformare tutti in esattori per conto dello Stato. Ne sanno qualcosa le compagnie dell'elettricità, che dal 2016 dovranno fare da esattori del canone RAI sulla bolletta, loro malgrado.

Una norma del collegato ambientale approvato qualche giorno fa, autorizza i comuni situati nelle isole minori a riscuotere una nuova tassa sugli sbarchi turistici. Il nuovo balzello potrà arrivare fino a due euro e mezzo a testa, e potrà salire a cinque euro nel caso che sull'isola siano presenti fenomeni vulcanici attivi. La “ratio ufficiale”, come al solito, è semplice e lodevole: si tratta di usare il maggior gettito per migliorare i servizi di nettezza urbana, le strutture ricettive pubbliche, la salvaguardia ambientale e del territorio. Tutti aspetti che ogni anno, verosimilmente durante l'alta stagione, sono messi a dura prova dall'invasione dei turisti, trattandosi di piccole isole.

La nuova tassa, subito battezzata come “tassa sui vulcani”, mi ha fatto tornare in mente il cartone animato di Grisù e di suo padre Fumè, due simpatici draghi che abitavano in un vulcano. Grisù, oggi, avrebbe un motivo in più per rinunciare alla carriera di drago e diventare pompiere, dal momento che la già povera rendita dell'immobile paterno verrebbe ulteriormente rosicchiata dalla traslazione di un'altra imposta. E se il mestiere dei draghi è quello di mantenere vivo il fuoco dei vulcani, a questo punto anche gli ultimi vulcani attivi verrebbero abbandonati e si spegnerebbero per sempre. 

Ma introdurre un altro balzello è una vera soluzione al problema del congestionamento? E poi, siamo sicuri che si tratta della sola via per affrontarlo?

Prima di tutto, imporre una tassa indiscriminata sugli accessi non è affatto una soluzione al congestionamento. Una tassa di cinque euro può essere una fastidiosa scocciatura per un vacanziere, ma non è in grado di scoraggiare quasi nessuno. Il numero degli sbarchi rimarrà più o meno lo stesso. Per giunta, come al solito, nessuno garantisce che il maggior gettito servirà agli obiettivi dichiarati e che non andrà invece a sopperire le più generali esigenze del bilancio dell'ente locale. Insomma, la tassa di scopo è poco più di una foglia di fico.

Se l'obiettivo è veramente contenere l'impatto del congestionamento sull'ambiente, il paesaggio e il territorio, la soluzione più efficace è senz'altro quella di contingentare gli ingressi. Perché, allora, non prendere in considerazione soluzioni alternative alla tassa di scopo? Esistono meccanismi “di mercato” in grado di affrontare meglio il problema del congestionamento. Il meccanismo dei “tradable permits (per inciso, lo stesso utilizzato nell'emission trading system in vigore per le emissioni di CO2), per esempio, potrebbe funzionare bene in questo caso e in modo più efficiente della tassazione.

La soluzione sarebbe semplice. Si fissa il numero massimo degli accessi turistici stagionali, compatibile con l'obiettivo di tutela del territorio e con la capacità ricettiva esistente, si emettono un numero equivalente di permessi di accesso, che vengono distribuiti, gratuitamente o dietro un corrispettivo minimo, agli operatori economici locali (in funzione di parametri quali la capacità ricettiva alberghiera) e ai residenti (in funzione dell'ampiezza del nucleo familiare). Questi ultimi potranno cedere liberamente i permessi sul mercato a chi è interessato ad accedere e soggiornare sul territorio. Chi li acquista, ovviamente, può rivenderli a sua volta al prezzo che si forma liberamente sul mercato.

È un prezzo che rifletterà la disponibilità a soggiornare sul territorio. Chi attribuisce più valore al proprio soggiorno alle pendici di un vulcano attivo sarà disposto a pagare per farlo. Chi, al contrario, ritiene eccessivo il prezzo del permesso di accesso, ci rinuncerà e andrà a rilassarsi altrove. Magari alle pendici di un vulcano spento. Rinunciare alla location di una vacanza non ha mai ammazzato nessuno. E se la contropartita è la reale salvaguardia di territori delicati dal punto di vista paesaggistico e ambientale, ben venga.

Il ricavato della vendita dei permessi di accesso (che poi equivale alla parte di rendita estratta alla domanda) va nelle casse degli operatori privati e quindi alimenta l'economia locale. Magari potrebbe finire reinvestito per migliorare la quantità e la qualità delle strutture ricettive private, innestando un circolo virtuoso mirato a promuovere il turismo di qualità. Turismo a maggior valore aggiunto, preferibile al classico mordi e fuggi.

La scelta tra tassare indiscriminatamente con un nuovo balzello e sperimentare un sistema diverso e più efficiente, dunque, si riduce come sempre ai consueti semplici termini: lasciare le risorse al settore privato e all'economia, oppure espropriargliele per gettarle nella fornace della spesa pubblica. La nuova “tassa sui vulcani” dimostra ancora una volta che l'esigenza di fare cassa e dilapidare gettito sia di gran lunga prevalente e prioritaria nell'esercizio del potere sovrano di imposizione fiscale.

Se la scelta anche questa volta è caduta sul solito balzello, infatti, è perché in fin dei conti fa comodo a (quasi) tutti adagiarsi sul modello del turismo mordi e fuggi. Fa comodo a molti operatori, che non di rado trovano conveniente scorticare lo sprovveduto turista giornaliero, e fa comodo allo Stato adeguarsi a questo modus operandi pur di tirare su gettito, anche se questo va a scapito della tutela dell'ambiente, del paesaggio e del territorio.