matteorenzi

Con una strategia top-down - dall'alto al basso, dal governo al partito - non si può governare l'evoluzione politico-culturale, e neppure quella organizzativa, di un PD fondato su di una dinamica partecipativa e quindi facilmente infiltrabile sul piano locale - e neppure solo locale - da chi venga da un passato o marci verso un futuro molto diversi da quelli che Renzi ha alle spalle e pensa di avere di fronte.

Il paradosso della situazione, di cui il caso Bassolino è una manifestazione esemplare, ma non una causa, è in questo contrasto tra la forza della leadership renziana e la fragilità congenita della sua constituency interna, ovvero - detto in altri termini - nel fatto che Renzi è il segretario del PD, ma il PD non è il suo partito, né si accinge a diventarlo.

La docilità dei gruppi parlamentari democratici alla Camera e al Senato non deve trarre in errore sugli effettivi rapporti di forza dentro il PD. Renzi è fortissimo, perchè è un leader nazionale vincente, l'unico disponibile oggi al Nazareno. Ma la sua è una forza tutta esterna, che i deputati e i senatori, anche per ragioni di interesse, a Roma riconoscono e assistono. Poi, tornati a casa, giocano in proprio, come sempre. Con le stesse facce, lo stesso vocabolario, gli stessi referenti sociali e la stessa ideologia vetero-democratica.

In tutta la rete del potere locale democratico abbondano gli affiliati al carro del segretario, ma non c'è un solo renziano pre-2013, con l'eccezione di Chiamparino. Il Sud - tutto il Sud, non solo la Campania - è un campo in cui il premier non tocca quasi palla e i sindaci e i governatori sono espressioni, positive o negative, del PD pre-renziano, perfettamente compatibili - tutte, nessuno esclusa - con eventuali e rapidi assestamenti post-renziani della ditta.

Al Nord, Piemonte a parte, il PD non è il partito-sistema, e gli uomini che il segretario vuole usare per tenere o riconquistare le posizioni sono tutti, a partire da Sala, papi stranieri ed extra politici. Al centro, al netto del perimetro tosco-emiliano, c'è il buco nero di Roma che rischia di inghiottire un PD ingovernabile e irredimibile.

Ora, come è ovvio, tutta la discussione è su come il segretario delle primarie aperte possa rottamarle, o rinchiuderle in una dinamica oligarchica e sorvegliata dal centro, per evitare che la loro forza fondativa diventi potenza disgregativa e suicida. Ma il fatto è che non sono le primarie a fare i partiti, ma i partiti a fare le primarie e a rispecchiarvisi. Oggi è il PD, non Bassolino, a rendere le primarie rischiose e polverose, non una finestra sul nuovo, ma un'immagine dell'ancien régime democratico.

È il PD a essere anni luce indietro o altrove rispetto al renzismo, comunque si giudichino l'uno e l'altro. E tocca a Renzi decidere se gli conviene provare a riallinearlo "dal basso" o andare avanti un po' di bastone e un po' di carota, scommettendo che il partito, come l'intendenza, presto o tardi seguirà. La scommessa potrebbe essere molto rischiosa.

@carmelopalma