Immigrati imprenditori

La grave crisi umanitaria legata all’ondata migratoria di profughi provenienti dalla Siria e da altri paesi dell’Africa si trova al centro dell’agenda politica europea da molti mesi. L’impressione che molti traggono dal clima emergenziale che si è venuto a creare è che, dal punto di vista dei paesi riceventi, l’immigrazione costituisca un fenomeno intrinsecamente problematico, di fronte al quale gli Stati necessitano sempre e comunque di misure contenitive e protezionistiche. Si tratta tuttavia di un’impressione che, per quanto diffusa, ad un'analisi più attenta non può che rivelarsi sostanzialmente fallace ed errata.

Infatti, non molti sanno che molti paesi Europei si sono dotati negli ultimi anni di strumenti di incentivazione dell’immigrazione di alcune categorie di extra-comunitari, come ad esempio quella degli stranieri imprenditori (ovvero cittadini di paesi terzi che richiedono l’ingresso al fine della costituzione di un'impresa nel paese ricevente).

Spinti dall’obiettivo di tentare di rivitalizzare le economie europee depresse dalla crisi, infatti, molti paesi membri stanno sperimentando meccanismi istituzionali per rendersi quanto più possibile "attraenti" nei confronti degli imprenditori provenienti da Paesi extra-europei, ad esempio facilitandone l’accesso sul proprio territorio attraverso canali di ammissione preferenziali o offrendo loro benefici particolari.

Lo spettro delle politiche per l’attrazione degli stranieri imprenditori nei vari stati membri è ampio e varia da un paese all’altro. Ciascuno di essi ha ad esempio un modo diverso per stabilire i requisiti necessari a qualificare (e a riconoscere giuridicamente come tale) lo straniero imprenditore: in alcuni casi ciò si stabilisce in base all’entità dell’investimento finanziario, in altri in base al tipo di impresa, oppure in base al livello di istruzione/formazione del personale della futura azienda; in altri c’è una combinazione di alcuni o tutti gli elementi sopra citati.

Allo stesso modo, anche il pacchetto di benefici destinati alla categoria tende a variare: si va da paesi che promettono un accesso facilitato al visto, o al ricongiungimento familiare, o al permesso di lungo-residenza, fino ad arrivare al caso di quelli che promettono un rapido accesso alla cittadinanza (fra questi ultimi, il caso della Repubblica di Malta è quello che ha ottenuto più attenzione mediatica). Al di là delle varianti nazionali, rimane fermo tuttavia che l’immigrazione per motivi imprenditoriali rappresenta un importante esempio di immigrazione che gli stati europei non solo non subiscono, ma al contrario incoraggiano attivamente, considerandola una risorsa chiave per il rilancio economico e la competitività nazionale.

Anche in Italia l’imprenditoria straniera mostra segni di particolare vitalità. Secondo le elaborazioni della Fondazione Moressa, che ha aggregato i dati relativi agli imprenditori nati all’estero e iscritti presso le Camere di Commercio, essi ammontavano alla fine del 2014 a 630.000, pari all’8,3% del totale, con una crescita costante negli ultimi cinque anni (+21,3%), malgrado la crisi economica, a fronte di una flessione del numero di imprenditori nati in Italia (- 6,9%).

In conclusione, mentre è legittimo sostenere che l’attuale tentativo di migliaia di profughi di raggiungere l’Europa rappresenti una circostanza straordinaria, che effettivamente sconvolge molti equilibri interni agli stati coinvolti, non bisogna fare l’errore di imputare al fenomeno immigrazione in generale una indesiderabilità intrinseca. Esistono infatti tanti tipi di immigrazione, alcuni dei quali sono riconosciuti dagli stati riceventi come fonti strategiche per lo sviluppo locale.

Detto questo, rimane aperta la questione della problematicità da un punto di vista etico di politiche che spalanchino le porte agli imprenditori mentre in parallelo si innalzano recinzioni ferrate per ostacolare l’ingresso dei profughi in fuga da guerra, fame e persecuzioni; una questione che, proprio per la sua importanza, merita una considerazione attenta.