papa retro

Nei commenti più critici e malevoli di parte laica Papa Francesco diventa una sorta di Jeremy Corbyn della cattolicità, che cercando di riportare la Chiesa alla sua identità originaria l'aliena dal confronto con la modernità e la solleva dal senso di colpa per le sconfitte patite e per le cause perse - quelle giuste come quelle sbagliate, con il senno di poi - inutilmente patrocinate contro la società borghese e l'economia di mercato.

"La Chiesa povera e per i poveri" non sarebbe quindi un ostello di tenerezza per le sofferenze del mondo, ma il rifugio dell'inestinguibile, e ormai impotente, antagonismo contro il cosiddetto pensiero unico liberal-capitalista.

Nelle accuse che invece arrivano dagli ambienti tradizionalisti del mondo cattolico, Francesco è descritto come il Papa della resa alla modernità e allo spirito del mondo, che tradisce il senso profondo della fede e la riduce ad un'etica della bontà sentimentale e sostanzialmente "post-cristiana". L'ansia dell'incontro e dell'abbraccio con tutti non esprimerebbe uno spirito di umiltà, ma di umiliazione. La totale apertura all'umanità di tutte le fedi e di tutte le genti non sarebbe una forma di apostolato, ma nasconderebbe il desiderio di troppi cattolici (e ora, scandalosamente, dello stesso Pontefice) di essere accettati da un mondo - quello storicamente e geograficamente cristiano - che ha rinnegato la Chiesa e la dimensione pubblica della religione, sostituendola con un libero mercato di fedi e credenze meramente private e individuali.

Più che domandarsi quanto queste accuse siano fondate (e per molti versi certamente lo sono), ha senso chiedersi se quello "populista" e quello "relativista" dal punto di vista politico-religioso siano gli aspetti davvero più rilevanti, oltre che più problematici, del pontificato di Francesco. La risposta mi sembra decisamente negativa.

Il problema più grave e urgente che Francesco ha ereditato dal suo predecessore era l'ormai insostenibile sproporzione tra la parola e la realtà della Chiesa, tra la sua costituzione formale in senso teologico-dottrinario, e la sua costituzione materiale in senso politico-culturale. Più che il Papa della resa, Francesco è quello del radicale riallineamento della Chiesa come istituzione alla Chiesa come comunità. Detto in modo banale, Bergoglio si è domandato molto seriamente chi sono, cosa pensano e cosa sperano quel miliardo di cattolici che vivono nel mondo, ritenendo che la Chiesa come comunione non potesse più eludere la questione del proprio auto-riconoscimento. Tutti gli scarti e le apparenti fughe in avanti o marce indietro del suo pontificato sono la trascrizione delle risposte a queste domande.

Il Papa "relativista" non vuole tanto allentare i dettami della dottrina, ma allargare in modo più transigente il governo pastorale delle contraddizioni della Chiesa, proprio perché la Chiesa oggi è viva e partecipe innanzitutto in queste contraddizioni. Non è Bergoglio ad avere imposto la priorità antropologica di questioni politico-sociali (immigrazione, povertà, guerre, pena capitale...) che la dottrina ufficiale negli ultimi decenni ha ritenuto costantemente più negoziabili dei temi liminali della bio-etica o di quelli privati della morale sessuale e familiare.

Il Papa "pauperista" e "terzomondista", poi, è certamente tributario di un certo populismo sudamericano, ma è assai più evidentemente espressione di quella Chiesa in larga parte povera e "terzomondiale" che è tenuto oggi a rappresentare e che l'ha chiamato, non a caso, al soglio di Pietro. Si può ragionevolmente sostenere che la diffidenza della Chiesa rispetto alla positiva portata sociale del processo di globalizzazione economica rifletta una lettura anacronistica del rapporto tra mercato e sviluppo umano.

Non si può però imputare l'anacronismo al solo Francesco, visto che in questo egli non ha affatto deviato dalla linea dei suoi predecessori (Ratzinger era liberista? Non scherziamo). Ma soprattutto non si può ignorare che anche in questo processo complessivamente positivo la Chiesa è comunque la casa naturale dei perdenti e ne riflette le domande, le angosce e le insoddisfazioni politiche.

Alla fine, anche guardando questo Papa venuto dalla fine del mondo da una prospettiva euro-atlantica e mercatista, ci si dovrebbe convincere che la libertà occidentale non ha al momento alleati globali migliori della Chiesa bergogliana. La sponda ostinatamente negata a quanti vorrebbero difendere la "nostra identità" rispolverando i ferrivecchi dell'esclusivismo religioso è il regalo più prezioso che il Pontefice può fare a quel mondo in cui si sente, come del resto la maggioranza dei cattolici, meno a suo agio che nelle molteplici periferie della terra.

Dalla Chiesa universale, sempre più meticcia e straniera, di Francesco non ci si deve attendere alcuna guerra di classe planetaria, ma un dialogo interessato e "sindacale" sugli interessi in gioco nei processi di integrazione globale. In questo senso, si potrebbe ironicamente dire che Francesco, lungi dall'essere comunista, è davvero dal punto di vista politico il Papa della provvidenza.

@carmelopalma