Tra assimilazione ed emarginazione, quella Rom è l’ultima comunità verso cui la denigrazione e la discriminazione razziale sono socialmente tollerate. Rappresenta quasi ovunque un fenomeno socialmente problematico, privo di una rappresentanza credibile. Un recente rapporto delle Nazioni Unite fa il punto sulla sua condizione, mentre stampa e opinione pubblica ignorano gli esempi e le buone pratiche di integrazione.

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La comunità negata
Alla ventinovesima sessione del Consiglio ONU per i Diritti Umani è stato pubblicato il Rapporto della Relatrice Speciale sulle Minoranze, Rita Izsak, che fornisce un quadro sulla condizione dei Rom e le tendenze in materia di politiche di governo e ricapitola la situazione di povertà e marginalizzazione, il problema della non-rappresentazione e la mancanza di dati.

Le informazioni parlano chiaro: tra il 70 ed il 90 % dei Rom d’Europa vive in gravi condizioni di bisogno, e nell’Europa del Sud-est solo il 18% frequenta la scuola superiore (contro una media del 75%), con meno dell’1% dei Rom della regione iscritti all’università. La speranza di vita per i Rom europei è significativamente bassa, come il tasso di vaccinazione e l’accesso ai servizi sociali, mentre rimangono alti i tassi di tubercolosi e mortalità infantile. Alcuni casi sono emblematici: poiché in Russia molti Rom non dispongono di documenti di identificazione, non beneficiano di assistenza sanitaria, diritto di voto, accesso all’impiego. In alcuni paesi del Medio Oriente, i Rom che non sono in grado di pagare le cure ospedaliere non ricevono i certificati di nascita per i figli, privi quindi di cittadinanza.

Quanti sono?
Sul numero di Rom ci sono solo stime, innanzitutto perché in molti paesi la raccolta-dati su base etnica non è autorizzata; in secondo luogo l’informazione proviene da dichiarazioni volontarie, condizionate dalla percezione da parte dei Rom di un clima sociale sfavorevole e dal timore per l’uso delle informazioni. A ciò si aggiunga la difficoltà di circoscrivere un insieme i cui appartenenti sono definibili asimmetricamente in base allo stato nomadico (escludendo le comunità stanziali), al criterio linguistico (i parlanti del Romaní), o a quello etnico Rom-Sinti (ad esclusione dei gruppi celtici). Se la Francia, che nega il riconoscimento giuridico delle minoranze, ha coniato il termine di “Gens du Voyage”, l’Italia si riferisce a “Rom, Sinti e Caminanti”.

Le stime del Consiglio d’Europa risalgono al 2012 e parlano di 11 milioni di Rom in Europa, facendone la più grande minoranza non riconosciuta del continente. Secondo altre stime, 1 milione risiede nel Nord America, 1,5 in America Latina (500.000 nel solo Brasile) e numeri meno significativi in Asia (gli Lyuli in Asia centrale e i Dom in Medio Oriente).

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Chi sono?
Una caratteristica che attraversa la galassia gitana è la disconoscenza che il mondo non-gitano (“gadgé”) mantiene della cultura rom. In misura molto variabile ed al di là delle peculiarità folkloriche, i tratti della “romanipen” sono riconducibili al rapporto nei confronti della terra, come spazio di passaggio comune e inappropriabile, del denaro, strumento di sussistenza e non tesaurizzato, e della famiglia, a struttura clanica validante - sopra ogni altra istanza - funzioni e fasi di un’esistenza. Da qui la subalternità delle istituzioni esterne, diffidate se non temute, e la fluidità nel rispetto di norme cultuali e religiose.

Ancor più stupefacente della preservazione nello spazio e nel tempo (l’arrivo dall’India risalirebbe al XIV secolo) dei caratteri propri ad una comunità così mobile, è senza dubbio l’assenza di tradizione scritta. L’origine esterna delle fonti relative ai Rom ha almeno due conseguenze.

La prima concerne la percezione del Rom nella sua tempra più stereotipica, tanto romanzata (buon selvaggio) quanto denigrabile (inclinazione al crimine), veicolata da aspetti folklorici patenti (carovana, mendicità), mancando i quali la presenza Rom è del tutto inavvertita. Se un appartenente o discendente della comunità gitana non fa mostra di tratti distintivi, diviene invisibile all’occhio del gadgé e affida la rappresentatività del gruppo ai soggetti più appariscenti. Nel film “Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen”, Laura Halivovic mette in scena il dilemma di chi condivide con la società italiana lingua, sedentarietà e riferimenti culturali, come la passione per il cinema, ed allo stesso tempo cerca di spiegare alla comunità Rom come l’assenza di matrimonio prematuro o di vita in caravan non contraddica lo spirito di appartenenza alla comunità.

La seconda conseguenza risiede nel rischio di assenza dalla memoria storica, per esempio riguardo alla secolare condizione di schiavitù (regime del “robie” in Moldavia e Valacchia fino al 1800), o al genocidio nazista. Il campo di Lackenbach, ad esempio, era dedicato ai Gitani ma dipendeva dalla Polizia criminale, per cui non fu classificato come Campo di concentramento. Su 25.000 Rom residenti in Italia nel 1939 ne sarebbero stati uccisi 1.000, mentre ben 15.000 su 40.000 sarebbero stati uccisi in Francia e addirittura 28.000 su 28.500 in Croazia. Ai nostri giorni l’associazione Yahad-in Unum, del sacerdote francese Patrick Desbois, si adopera per il riconoscimento della “shoah par balles”, cioè le fucilazioni sommarie e poco documentate di cui furono vittime zingari ed ebrei per mano degli Einsatzgruppen.

Se in mancanza di portavoce il riconoscimento dipende dalla benevolenza altrui, il senso di inaccettabile alienità produrrà più facilmente la tentazione di espulsione anziché considerare sforzi verso l’integrazione, nonostante la maggior parte dei Rom sul territorio europeo goda di cittadinanza europea. Una volta realizzato l’allargamento ad Est, è divenuto materialmente impossibile contenere l’afflusso di nuovi migranti.

Quadro legislativo
Pochi sono al corrente che esistono accordi in materia di integrazione dei Rom. In seguito alla proposta della Commissione Europea nel 2011 di adottare un Quadro per le Strategie Nazionali di Integrazione dei Rom, gli stati membri si sono impegnati a predisporre misure nei settori di educazione, alloggio, impiego e salute. Ciascuno stato ha quindi prodotto un documento-guida, e il governo italiano ha affidato il coordinamento della strategia all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Il documento italiano prevede Piani locali per l’inclusione di Rom, Sinti e Caminanti, un gruppo di lavoro per colmare le lacune statistiche, ma soprattutto la sperimentazione di un modello di partecipazione delle comunità Rom ai processi decisionali che le riguardano. Nel rapporto 2014 in cui si valuta il progresso degli stati membri, tuttavia, al capitolo Italia i risultati non appaiono significativi. Il rapporto cita il coinvolgimento di appena 13 città in un progetto sulla frequenza scolastica, e dei non meglio specificati “sforzi per superare il sistema degli accampamenti”.

Dove sono i progressi?
Spesso le azioni di intervento nei confronti di gruppi problematici in termini di marginalità, povertà, esclusione dipendono dalla volontà e dal coraggio dei poteri locali. Molteplici esempi esistono in Europa di città, province e regioni che sono riuscite, tramite un approccio sistematico e multi-dimensionale, a ottenere risultati. Interessante è l’approccio olandese, pragmatico e contrattualistico, lontano dal vittimismo moralista tanto quanto dalla stigmatizzazione a fini elettorali. Nel 2009 viene istituita, in seno all’Associazione dei Comuni Olandesi, una piattaforma delle municipalità che accolgono Rom sul territorio, mettendo in atto le raccomandazioni del Ministero della Sicurezza a proposito di “famiglie multiproblematiche di estrazione Rom”.

Tra le più attive troviamo Nieuwegein, che ha definito un particolare approccio detto “wisselgeld” basato sul principio di assistenza in cambio della presa di responsabilità. Alle famiglie Rom viene proposto un programma di inserimento i cui benefici, in termini di alloggio e servizi sociali, sono proporzionali all’impegno preso nei confronti dell’amministrazione. L’approccio prevede il coordinamento di varie istituzioni (scuola, polizia, comune) e il ricorso a mediatori sociali. Il rigore nell’applicazione di tali misure sconcerta certi attivisti, ma presenta il vantaggio di una certa efficacia e misurabilità, tanto che Nieuwegein si è fatta conoscere e ha condotto un progetto europeo per confrontare con altre città i metodi per l’integrazione dei Rom.

La tentazione del capro espiatorio
La carenza di modelli positivi pubblici, la poca visibilità delle organizzazioni che la rappresentano, le differenze che solcano il mosaico gitano, sono tra gli elementi che congiurano contro il riscatto di una comunità che rimane l’ultima verso la quale l’insulto è socialmente tollerato

Tra XI e XIX secolo, in Navarra, Guascogna, Paesi Baschi è persisita la segregazione dei Cagots, gruppo di “intoccabili” la cui origine rimane misteriosa. Discendenti forse di lebbrosi, goti ariani, saraceni, mercenari, i Cagots furono emarginati dalla vita sociale, dalle cerimonie religiose e dai negozi urbani per motivi la cui ovvietà risiede solamente nell’accettazione, da parte dei cittadini a pieno titolo, di un’immutabile subordinazione altrui.

Se la coscienza politica implica la critica di modelli e strutture, fare politica non può prescindere dalla sfida di scardinare il circolo vizioso di emarginazione che fa di molti Rom i Cagots del XXI secolo.