parigi grande

A voler vedere ad ogni costo il rosa nelle cose, potremmo dire che un leader coraggioso, che aveva assunto impegni vincolanti con i suoi elettori, nel momento in cui si trova costretto a prendere una decisione che necessariamente tradisce quegli impegni, convoca di nuovo il suo popolo per ottenere un nuovo mandato. Il senso del referendum greco, convocato per domenica prossima per decidere se accettare o meno l’accordo con i creditori di Atene potrebbe, in fondo, essere quello.

Da domenica prossima, quindi, conosceremo il destino della Grecia, se continuerà a far parte dell’euro, accettando le condizioni dell’Europa per ottenere una nuova linea di credito, oppure se uscirà dall’euro, con tutto quel che ne consegue. E saranno i greci, con il loro voto, a sollevare Alexis Tsipras dall’onere di dover raccontare, finalmente, una verità che conosce bene.

Perché alla fine il senso del referendum è anche questo. Che non fosse possibile continuare a rimanere nell’euro senza adeguare alla realtà i conti pubblici - entrate e uscite - era cosa nota da tempo, molto tempo prima che Alexis Tsipras vincesse le elezioni. A ricordarlo oggi con una certa brutalità è anche un giornale francese che non può essere davvero accusato di simpatie liberiste. Tsipras quelle elezioni le ha vinte promettendo al suo popolo la botte piena e la moglie ubriaca, la permanenza nell’euro e la fine dell’austerity. Era una promessa impossibile da mantenere, una grassa e grossa presa in giro, alla quale un popolo comprensibilmente spaventato per il suo futuro ha voluto credere, complice il fatto che le alternative elettorali, questo non va mai dimenticato, erano proprio quei partiti che avevano condotto la Grecia alla bancarotta.

Oggi, grazie al referendum, Alexis Tsipras e i suoi compagni potranno evitare di assumersi la responsabilità di quella menzogna, e magari salveranno la faccia lasciando il cerino acceso nelle mani dei loro connazionali. Ma a quale prezzo? Più che al risultato del referendum, per capire la dimensione del disastro dovremo guardare alla settimana che lo precederà: immaginate che domenica prossima si deciderà della permanenza nell’euro del vostro paese, e che la decisione sarà affidata a un referendum popolare. Guardate i sondaggi, vedete le percentuali di consenso del Si e del No, che corrispondono alla percentuale di probabilità che tutto quel che avete subisca un deprezzamento colossale. Pensate ai soldi che avete in banca, e cominciate a calcolare gli effetti sul loro valore della svalutazione imposta dal ritorno alla vecchia valuta nazionale.

Se da una parte questo potrebbe essere un argomento a favore della permanenza dell’euro, e che quindi potrebbe spingere i greci a votare a favore dell’accettazione delle condizioni dei creditori, dall’altra potrebbe essere la molla del si salvi chi può. Abbiamo già visto gli stessi cittadini greci votare Syriza con una mano e con l’altra ritirare i propri risparmi dalla banca, sottraendo liquidità al sistema creditizio greco e rendendolo di fatto completamente dipendente dal finanziamento della BCE. E sono sempre di più i greci che decidono di non rispettare le scadenze per il pagamento delle tasse, preferendo mettere al sicuro i propri soldi acquistando beni come le auto di lusso, le cui vendite in Grecia sono significativamente aumentate negli ultimi mesi e delle quali si intuisce un deprezzamento minore e meno rapido di quello che subirebbe la dracma in caso di uscita dall’euro. Sono le situazioni in cui comportamenti assolutamente razionali a livello individuale hanno conseguenze devastanti nel momento in cui diventano fenomeni di massa, e la corsa agli sportelli è un fenomeno che conduce direttamente un paese al collasso.

La Grecia potrebbe arrivare al referendum - lo vedremo ai bancomat in queste ore e agli sportelli da lunedì, nell’improbabile eventualità che vengano lasciati aperti - già ben oltre la linea di non ritorno di un paese fallito. Sarà poco consolante a quel punto sapere che Alexis Tsipras è riuscito a contenere i dissidi interni al suo partito, che sarebbero deflagrati se si fosse assunto direttamente la responsabilità di accettare l’accordo con Bruxelles, e a mantenerne la leadership.