Se la storia di come la Grecia sta provando quotidianamente a sfuggire alle riforme strutturali pur restando nell’euro vi sta appassionando, non preoccupatevi: non è finita, nessun accordo sarà definitivo, in estate avrete ancora molti episodi da seguire. Con Tsipras funziona come con i cartoni animati di Willy il Coyote: ogni giorno si riparte da capo, anche se nella puntata precedente lo avete visto ridotto in polvere o schiacciato sotto un masso.

SYRIZA

Le ipotesi in esame in questi giorni – un graduale aumento dell’età pensionabile e un aumento di tasse e contributi – ricordano molto le soluzioni che l’Italia adottò nel drammatico autunno del 2011, con due differenze sostanziali e due similitudini.

Le differenze: anzitutto, l’allora governo Monti approvò una riforma immediata e robusta delle pensioni, non graduale e timida come quella di cui parla il primo ministro ellenico; poi, il nostro Paese ha un sostrato produttivo, un grado di competitività imprenditoriale un patrimonio privato incomparabilmente superiore a quello greco.

Le similitudini: prima, la cultura politico-economica prevalente nell’opinione pubblica, sia in Italia che in Grecia, è restia a considerare una razionalizzazione della spesa pubblica e un ridimensionamento di un sistema di welfare troppo generoso come un obiettivo necessario, opportuno e auspicabile; seconda, le strategie “più tasse, meno spesa” consentono di realizzare avanzi primari e di rassicurare i creditori, ma non migliorano (anzi, peggiorano) le prospettive di crescita di un’economia.

Il problema greco continuerà per anni ad essere uno dei problemi aperti dell’Unione Europea e in particolare dell’eurozona. E’ una malattia cronica, non è un malanno di stagione. L’Europa dovrà decidere come e a che condizione conviverci, consapevole che la Grecia sta lì e lì resterà. Anche un’eventuale uscita della Grecia dall’euro non eliminerebbe la questione greca dall’agenda e dalla quotidianità europea, contrariamente a quel che pensa qualche duro e puro. La crisi dell’Ellade è semplicemente un epifenomeno di una malattia che è già ampiamente diffusa nel Vecchio Continente: il rifiuto di superare un modello pubblico-burocratico costoso, elefantiaco, parassitario.

I taboo di Alexis Tsiras sul pubblico impiego, l’estrema prudenza con cui vuol mettere mano al sistema pensionistico, l’illusione che il settore privato può essere un bancomat da cui attingere per far quadrare i conti statali: si tratta di convinzioni in fondo radicate in tutta Europa, massimamente in quella mediterranea ma presenti anche nel nord del Continente, che stanno invece drammaticamente trascinandoci in una stagnazione secolare, a cui ci illudiamo di sfuggire con una politica monetaria accomodante ma dagli effetti chiaramente temporanei. Quella greca non è una crisi e non è un’emergenza, è una sindrome di cui sono affetti in tanti nel Vecchio Continente.