La Turchia va alle urne il prossimo 7 giugno con molti interrogativi e una certezza: questa è l'ultima volta in cui il potere del Presidente Recep Tayyip Erdogan possa essere limitato in qualche modo. Se infatti il suo partito Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, sulla carta ancora islamico-moderato, dovesse ripetere le performance del 2002, del 2007 e del 2011, allora la Turchia passerebbe da una fase di democrazia consolidata a una di democrazia "a senso unico", con tutti i legittimi dubbi che questa espressione può suscitare.

Erdogan

Un'affermazione pesante dell'Akp porterebbe alla formazione di un quarto esecutivo monocolore, e, se i tre principali partiti di opposizione dovessero riportare percentuali al di sotto delle aspettative, allora il partito di governo potrebbe avere i seggi necessari per cambiare la Costituzione da solo, garantendo a Erdogan un sistema presidenziale forte sul modello francese ed escludendo praticamente dalla vita politica del Paese qualsiasi altra formazione che non sia quella islamico-moderata.

Se si tiene conto della virata autoritaria che la Turchia ha sperimentato negli ultimi anni, soprattutto a partire dal 2011, allora non è un'esagerazione dire che lo scenario sopra descritto darebbe luogo alla dittatura soft più di successo del Medio Oriente.

Questo è uno degli scenari che possono attendere la Turchia l'8 giugno, il giorno dopo le consultazioni. Ma gli analisti prevedono almeno due alternative, entrambe negative per l'attuale presidente della Repubblica.

La prima è che l'Akp ragginga un numero di parlamentari superiore a 267 ma inferiore a 330. Questo lo porterebbe a poter sì formare il governo da solo, ma a dover poi stringere un'alleanza con un altro partito per varare le riforme costituzionali, con tutti i compromessi del caso. La seconda possibilità, data tuttavia come meno probabile, è che l'Akp non raggiunga nemmeno i 267 deputati e sia quindi costretto al governo di coalizione. Se la prima ipotesi per Erdogan rappresenta una sconfitta parziale, la seconda sarebbe direttamente una Caporetto.

Fra le forze che si oppongono agli islamico-moderati, i più temibili in questo momento appaiono i curdi dell'Hdp, il Partito del popolo democratico, che per la prima volta tenterà di sfondare la soglia del 10% ed entrare in parlamento direttamente senza formare un gruppo con i candidati indipendenti. Se dovesse riuscire nell'impresa, allora potrebbe guadagnare un numero di seggi in grado di impensierire Erdogan.

Avanti nei sondaggi anche il Mhp, il Partito Nazionalista, che secondo alcuni istituti di ricerca sarebbe attestato oltre il 15% e potrebbe sottrarre all'Akp parte dell'elettorato scontento per la virata religiosa imposta da Erdogan al Paese. In linea con le precedenti elezioni, quindi fra il 23 e il 25%, il Chp, il Partito repubblicano del Popolo, a cui fa capo la parte più laica del Paese e che negli ultimi mesi ha operato un poderoso rinnovamento degli organi dirigenti.

La campagna elettorale è andata avanti senza esclusione di colpi e con episodi di violenza che hanno contribuito a far salire la tensione. La sede dell'Hdp di Adana, nell'est della Turchia, è stata oggetto di un attacco in cui sono state ferite due persone. La opposizioni hanno denunciato una evidente sproporzione di mezzi economici impiegati nella campagna elettorale e nella presenza sui media. Nello scorso fine settimana, Erdogan è arrivato a spostare di 24 ore le celebrazioni della caduta di Costantinopoli pur di rubare la scena al leader curdo Demirtas, che, nonostante tutto, è riuscito a portare in piazza un milione di persone.

Economia, crescita e sviluppo sono stati i temi principali di una campagna elettorale dove di fondo l'Akp ha presentato i risultati degli ultimi 13 anni di governo e gli altri partiti hanno cercato di far leva sulle fasce più povere della popolazione, quelle che hanno beneficiato meno della crescita economica che ha caratterizzato la Turchia degli ultimi anni.

La vera novità è la campagna elettorale dei curdi, focalizzata non solo sul tema dell'autonomia e dei riconiscimenti che la minoranza richiede da tempo, ma anche sui diritti delle minoranze, delle donne e degli omosessuali. Impossibile dire con certezza come andrà a finire e se dopo il voto la Turchia guerderà più verso est o verso ovest.

L'unica certezza, fino a questo momento, è che nella campagna elettorale c'è una grande assente: l'Europa.