La corsa dell'Italicum in questa settimana giungerà comunque a conclusione. O con l'approvazione, molto probabile, o con una bocciatura che comporterebbe la fine della legislatura e presumibilmente anche del PD, per come fino ad oggi lo abbiamo conosciuto e l'avvento di un partito renziano, che potrebbe essere tutto e niente, ma polverizzerebbe la rete di solidarietà coatte e fedeltà interessate che schiera accanto al premier leader nazionali e locali, fino a pochi anni fa disgustati dal "barbaro" fiorentino e oggi pronti o obbligati a stargli appresso, ognuno facendo il proprio gioco, ma non disturbando il suo.

Renzi

Renzi assicura al PD un potere elettoralmente quasi monopolistico, a livello nazionale e ancor più a livello locale e tutti possono trarne vantaggio. Ma l'esplosione del PD o quella sorta di auto-scissione renziana in qualche caso minacciata agli alleati più riluttanti mescolerebbe molte carte e cambierebbe molte alleanze.

L'approvazione dell'Italicum è comunque lo scenario più probabile perché nessuno dei giocatori (quelli che contano stanno tutti dentro il PD) ha alternative migliori alla prosecuzione della legislatura, ma mentre Renzi ne ha qualcuna - il ritorno alle urne con il Consultellum con la speranza di prendere comunque un mucchio di voti e di tornare a Palazzo Chigi, con quale maggioranza chissà - Bersani, D'Alema, Bindi, Cuperlo e compagnia non ne hanno nessuna, se non girotondeggiare con quel che resta del ceto medio riflessivo e degli apparatčik della sinistra inorridita dall'usurpatore para-berlusconiano.

Della discussione in corso nel PD, vista dall'esterno con un occhio critico e non antipatizzante, non c'è niente né di interessante, né di vero. Non c'è una vera alternativa tra chi grida all'emergenza democratica contro il "Parlamento dei nominati" e propone aggiustamenti che sono peggioramenti di una legge già abbondantemente peggiorata dalle richieste della minoranza PD (la non applicabilità al Senato, l'efficacia differita, l'elezione a preferenze di oltre i due terzi dei deputati del partito di maggioranza) e chi rivendica la virtù taumaturgica della democrazia decidente, decondizionata, disintermediata e low cost e batte e ribatte la grancassa contro il ricatto dei piccoli partiti, che è la vera leggenda metropolitana della politica italiana, da sempre impantanata invece nel bradipismo ideologico o nel cupio dissolvi dei grossi.

Delle cose che dicono i renziani e gli anti-renziani, l'unica cosa certa e vera è che tutti, nella loro carriera politica, con rarissime eccezioni, hanno già ampiamente sostenuto il contrario e torneranno a parti rovesciate a sostenerlo, se ce ne fosse il caso. I bersaniani che sostengono il voto di preferenza e l'imprescindibilità dei governi di coalizione e i renziani che propugnano il centralismo democratico e il vincolo di mandato... Puro gioco delle parti, parole in libertà che quasi tutti si pentiranno prima o poi di avere pronunciato.

Ma in questa diatriba che non ha alcuna drammaticità democratica, perché è giocata da entrambe le parti interamente all'insegna della retorica e della finzione, emerge però il problema più autentico e dirimente e insieme il vero rischio dell'Italicum, che non è affatto quello di inaugurare un presidenzialismo senza contrappesi o una democratura di stampo putiniano, ma di non avere "sotto" un sistema politico in grado di supportarlo e di farlo funzionare. Una democrazia bipartitica ha bisogno almeno di due grandi partiti in grado di reggere la sfida del governo e quella di una dialettica interna non centrifuga e scismatica.

L'approvazione dell'Italicum potrebbe fare saltare pure l'ultimo partito rimasto, cioè il PD, ma dimostra comunque, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'insostenibilità di un governo interamente acquartierato al Nazareno. Se anche domani l'Italicum passasse e il PD renziano dopodomani vincesse le elezioni, il minuto dopo ripartirebbe lo stesso identico circo, con l'aggravante che la gran parte degli eletti si sentirebbe legittimata direttamente (dalle preferenze, che ridere) e dunque ancora più legittimamente autonoma dalle direttive di partito.

Come è evidente non esiste alcuna riforma renziana, da quelle approvate a quelle in corso, che sarebbe passata in questa legislatura, se a deciderne fosse stato, da solo, il PD. Tutte le rotture più profonde e positive consumate dall'esecutivo, a partire dal Jobs Act, hanno trovato solo nel PD una vera e profonda opposizione culturale e politica e solo nel PD e nei suoi dintorni politico-accademico-sindacali avversari temibili e di rispetto. Il vero rischio dell'Italicum è insomma che il PD non regga un governo monocolore e nessun altro partito sia neppure in grado di contenderglielo. Ma adesso è troppo tardi o paradossalmente troppo presto per immaginare alternative o possibili rimedi.

@carmelopalma