Era una bellissima occasione. L'obiettivo non era privo di pathos: creare intorno al gruppo francese Dassault una grande impresa europea di aeronautica da difesa. Ahimé, però, Tom Enders, l'AD di Airbus, ha gettato la spugna. Vale a dire che ha appena ceduto una prima tranche di partecipazioni di Airbus in Dassault... al gruppo Dassault.

Rafale grande

I risultati commerciali dell'ultimo grande programma di Dassault, l'aereo Rafale, sono disastrosi. Nonostante più di 45 miliardi di euro(1) investiti dallo stato francese sin dalla fine degli anni '80, tra cui un'ennesima tranche (non l'ultima probabilmente) di 1,2 miliardi nel 2014, non solo il Rafale non si esporta, ma le commesse, perfino in Francia, sono state riviste al ribasso. E non sarà il prossimo mega-contratto con l'India a cambiare le cose. Se verrà concluso – cosa probabile – molto più che di un contratto di vendita in esportazione si tratterà di un enorme trasferimento di tecnologie, peraltro ottenuto solo tramite una mobilitazione senza precedenti dell'apparato diplomatico della Repubblica.

Anche la politica industriale del gruppo continua a porre dei problemi. Guardando la storia in prospettiva, possiamo dire che il costruttore aeronautico francese si sia, a un certo punto, addormentato sugli allori. Forte del successo tecnologico del Rafale, il suo aereo di quarta generazione (o, più precisamente, 4,5), non ha sviluppato nessun progetto di aereo furtivo di quinta generazione. Per quanto riguarda i droni, il suo tentativo tardivo di entrare con il britannico BAE Systems sul mercato non può creare illusioni su quest'altra rivoluzione industriale mancata(2).

Dopo il fallimento degli anni '70, quando si videro gli Europei dividersi tra partigiani dell'Eurofighter (Germania, Gran-Bretagna, Italia e Spagna) e del Rafale (Francia), e dopo l'aborto nel 2012 del progetto di fusione dei gruppi Airbus e British Aerospace (BAE Systems), questo è il terzo appuntamento mancato per l'Europa. Ma è anche un appuntamento mancato per la Francia, che si vedrà costretta a investire, da sola o quasi, decine di miliardi di euro(3) nell'aereo che dovrà, un giorno, sostituire il Rafale e che, ancora una volta, non avrà altro mercato che quello francese o poco più. Vista l'attuale situazione economico-finanziaria della Francia, questa prospettiva sembra quantomeno problematica.

Che un governo si preoccupi della difesa dei suoi "campioni nazionali" è perfettamente comprensibile e legittimo. Tale pratica, però, ha i suoi limiti, come mostra per esempio il caso di Alstom, "salvata" tra squilli di trombe e rulli di tamburi da Nicolas Sarkozy nel 2004: meno di dieci anni dopo, il governo francese in carica dovrà, senza nessuna possibilità di scelta, consentire che questo gioiello industriale venga fatto a pezzi e venduto. Se nel caso dell'industria della difesa, trattandosi di interessi vitali per la nazione, la preoccupazione delle autorità è tanto più comprensibile e legittima, lo scetticismo è d'obbligo davanti alla risposta elaborata in seguito al disimpegno di Airbus.

La clausola di salvaguardia escogitata dal governo per premunirsi contro eventuali futuri litigi tra gli eredi di Serge Dassault(4), che garantisce un diritto di prelazione allo stato francese(5), non costituisce una risposta adeguata né dal punto di vista industriale, né da quello commerciale, economico e finanziario. Il solo mercato francese non basterà più e lo stato francese non sarà più in grado di fornire le somme necessarie all'ideazione, allo sviluppo e alla costruzione di apparecchi sempre più sofisticati - e quindi sempre più cari.

Inoltre, un sotterfugio del genere non costituisce una risposta soddisfacente nemmeno dal punto di vista militare – le nuove minacce in termini di difesa e di sicurezza che pesano sull'Europa - e politico – la necessità di ovviare ai rischi di disintegrazione della costruzione europea e quella di contrastare "una cultura di dipendenza e una de-responsabilizzazione di fatto degli Europei nei confronti della loro difesa", come dice il generale Perruche(6).

Come sottolineavano Etienne Daum e William Pauquet già nel 2012, "tutto ciò pone il problema del futuro dell'autonomia dell'aeronautica da caccia in Europa, e implica che il dopo Rafale/Eurofighter/Gripen/F-35 venga lanciato sin d'ora."(7)

Cinque scogli devono essere evitati. Si tratta forse, sostengono questi due autori, di non "ricadere negli errori della logica F-35", quelli di "canalizzare e di prosciugare i bilanci di R&D dei partner di Washington"(8), nella fattispecie i partner europei, ma si tratta, soprattutto, di tenere conto dei limiti dell'approccio sotto forma di consorzio (Eurofighter), di imparare l'amara lezione che arriva dal fallimento di una strategia puramente nazionale (Rafale) e di valutare tutte le conseguenze del perseguimento simultaneo di due progetti europei concorrenti.

Altro scoglio: la dimensione dell'impresa. Se, come afferma Philippe Plouvier, "oggi la dimensione critica per poter giocare un ruolo di primo piano in programmi di estrema importanza nell'aeronautica si attesta intorno ai 30 miliardi di dollari di giro d'affari"(9), il gruppo Dassault, che arriva solo ai 10 miliardi di euro, è lontano dal traguardo. Un raggruppamento di costruttori europei nell'aeronautica militare dovrebbe quindi imporsi.

Ultimo scoglio: la legislazione in materia di concorrenza. Se, come si afferma, "i caccia (di Dassault) condizionano il successo e la redditività dei suoi aerei civili (Falcon) e dell'elettronica di difesa"(10), non si può escludere che, un giorno, i concorrenti del Falcon oppure le autorità europee per la tutela della concorrenza intervengano per chiedere al gruppo Dassault di scindere le attività militari e civili in due società distinte.

Tutti questi elementi depongono a favore della formazione di operatori europei. Dassault-Aviation riunisce già due costruttori aeronautici; aprire il suo capitale a una partecipazione rilevante di altri attori europei del settore – italiani, polacchi, ucraini, svedesi, olandesi, greci, belgi... - consentirebbe all'Europa di porre fine finalmente ai suoi smarrimenti, creando le basi di una grande impresa e di un grande mercato europei.

Se, con il generale Perruche, crediamo che l'Europa non possa, in modo particolare in tempi così confusi, "esentarsi dalla difesa degli interessi dei suoi membri e più generalmente dalle questioni di sicurezza che li riguardano"(11), crediamo però anche che la dispersione degli operatori industriali in materia di armamenti e, a fortiori, la permanenza dell'ancoraggio nazionale dei loro azionariati, costituiscono un forte ostacolo all'emergere di una volontà europea comune in materia di difesa e, concretamente, alla creazione accanto agli eserciti nazionali di un esercito europeo comune.

Nel 1977 l'allora primo ministro Raymond Barre presentò la decisione della partecipazione dello stato nell'impresa Dassault come una misura di razionalizzazione dell'industria aeronautica. La questione si pone nuovamente in questi termini per l'attuale governo francese. Ma si pone anche in termini strategici e politici radicalmente nuovi. Nel momento in cui l'ordine europeo del dopoguerra viene rovesciato, l'Europa non può più fare economia sulla propria difesa e su un'industria della difesa europea.

 

Note al testo:

(1) Xavier Pintat, Daniel Reiner, Rapporto della commissione degli affari esteri del Senato francese, sul progetto di legge finanziaria per il 2012
(2) Nonostante una tesoreria abbondante: 3,6 miliardi di euro
(3) Si può temere che in ragione della tecnologia sempre più evoluta, i costi di ricerca e sviluppo saranno di molto superiori a quelli del Rafale. La deriva dei costi di sviluppo dell'aereo furtivo F35 americano è il risultato, almeno in parte, di questo fenomeno.
(4) "Comment l'Etat s'est invité à la succession de Serge Dassault", Michel Cabirol, La Tribune, 1 dicembre 2014.
(5) Nel caso in cui la partecipazione della famiglia Dassault scendesse al di sotto del 40% delle azioni, lo stato francese potrebbe far valere un diritto di prelazione.
(6) "Sécurité européenne: cessons de nous cacher derrière l'Otan", Generale Jean-Paul Perruche, Le Figaro, 2 settembre 2014.
(7) "Quel avenir pour le F-35/JSF? Ambition américaine, mirage européen", Etienne Daum, William Pauquet, Note strategiche del CEIS, luglio 2012.
(8) Etienne Daum, William Pauquet, op. cit.
(9) "EADS doit en profiter pour revisiter sa stratégie", intervista di Philippe Plouvier a cura di Hassan Meddah, L'Usine nouvelle, 11 ottobre 2012.
(10) "Serge Dassault, le Rafale et la presse française", Boulevard Voltaire, 3 gennaio 2014.
(11) Generale Jean-Paul Perruche, op. cit.