La scarsa competitività del Paese sta modificando la percezione di un marchio Made in Italy tradizionalmente molto trasversale e rivolto ad un pubblico ampio e variegato. Se da una parte ci consola che il marchio Made in Italy sia sempre più focalizzato sull'alta gamma, appare preoccupante che per i marchi premium questo non rappresenti più un elemento cosi distintivo.

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Abbiamo assistito tutti, o quantomeno abbiamo letto i relativi commenti ed articoli, alla puntata di Report sul caso Moncler.

Non voglio qui affrontare il dramma delle oche (che non sottovaluto), né l'opportunità che una televisione pubblica si permetta di sindacare sui margini di una azienda privata, attaccando non un comparto (se gli altri produttori di piumini si comportano diversamente allora mi taccio) ma una singola impresa, quotata. Toccherà a Moncler, nei modi che riterrà più opportuni, difendersi e dimostrare l'eventuale infondatezza delle accuse.

Non mi interessa neanche analizzare con attenzione il caso di cattiva gestione della crisi dei responsabili comunicazione di Moncler. Tutto questo è stato affrontato in rete da mille articoli. Non saprei aggiungere nulla di più.

Ho trovato invece molto interessante ascoltare gli imprenditori di cui si parlava nella trasmissione, sia Ruffini sia Cucinelli. Purtroppo i giornalisti erano troppo impegnati a dimostrare una tesi ed hanno dato poco peso ad affermazioni che credo siano invece molto interessanti. Mi ha colpito in particolare la riproposizione di una intervista dell'amministratore di Moncler, Ruffini, che mi ero perso e che è passata un po' sotto traccia, in cui dichiarava che a lui non interessa il concetto di Made in Italy, Moncler è un marchio che sceglie il meglio ovunque lo trovi.

Dichiarazione più che legittima sia chiaro. Mi ha colpito molto sia il contenuto sia il fatto di non esserne rimasto scandalizzato. Sicuramente è inutile puntare sul Made in Italy per un marchio percepito come francese. Non avevo però mai sentito un attacco cosi forte e sincero al "prodotto in Italia".

Sia chiaro, so benissimo che i maggiori stilisti producono all'estero ma so anche che cercano tutti di nasconderlo o farlo dimenticare: il made in Italy è sempre stato (e per il lusso resta) un plusvalore importante. Lo stesso Cucinelli, così lodato da Report, ha fatto una affermazione molto interessante, anche questa passata sotto traccia essendo l'attenzione puntata sul mantenimento dei posti di lavoro in Italia.

Cucinelli ha detto che per lui il Made in Italy è un plusvalore perché il suo è un marchio di lusso a differenza di altre aziende che lavorando in segmenti premium possono avere visioni differenti. L'affermazione non è banale. Significa che il cerchio si stringe per molte imprese: se da una parte ci consola che il marchio Made in Italy sia sempre più focalizzato sull'alta gamma, appare preoccupante che per i marchi premium questo non rappresenti più un elemento cosi distintivo.

Per intenderci, se Ferrari è lusso, Bmw è premium.

Ciò che sta accadendo ha effetti importanti sulla filiera. La scarsa competitività del Paese sta modificando la percezione di un marchio Made in Italy tradizionalmente molto trasversale e rivolto ad un pubblico ampio e variegato. Se pensiamo all' Italia degli anni 60 il nostro Paese rappresentava la dolce vita ma anche la gioia di possedere la 500, non necessariamente la Ferrari.

Segnalo un bellissimo articolo de ilSole24ore, La modernità italiana di Giuliano Da Empoli del 30 settembre 2014. Articolo che vi invito a leggere integralmente e di cui riporto un paio di affermazioni che mi hanno colpito in particolar modo:

"Il problema della moda italiana non sono le tasse. Il problema della moda italiana non sono le infrastrutture. Il problema della moda italiana non è l'inefficienza della pubblica amministrazione. Il problema della moda italiana è la depressione italiana. Come si fa a vendere al mondo il sogno di un luogo abitato dalla leggerezza e dall'eleganza se quello si è progressivamente trasformato nel suo esatto contrario: un Paese sempre più impaurito e cattivo, nel quale la gente si impoverisce e l'ultima festa divertente risale al 1987?" 

E ancora, sempre sul Made in Italy:

"Non un fenomeno di élite, ma di massa: l'orgoglio di avere qualcosa da dire al mondo, e l'intelligenza di farlo senza prendersi troppo sul serio. Come il set della Dolce vita dove, scrive Tullio Kezich, «tirava sempre l'aria di non fare un accidente, di sfuggire agli impegni, di bruciare il padiglione. Eppure si lavorava, se questa è la parola, fino a veder spuntare l'alba»." 

Non sono un esperto di mktg e quindi chiedo scusa se posso aver fatto un po' di confusione su termini e posizionamenti. Per evitare fraintendimenti non sostengo che oggi il Made in Italy non rappresenti più un valore immediatamente spendibile dalle aziende, dico invece che inizia ad appannarsi, inizia una discesa che va contrastata non con tutele legali ma lavorando sull'immagine e l'attrattività del Paese a tutti i livelli

Chiedo a chi è più bravo di aiutarmi, magari nelle conversazioni on line sulla pagina fb di Strade, a sviluppare o a correggere una intuizione forse un po' superficiale ma credo non del tutto sbagliata.

@commercialista