Se i dati sull'export del vino italiani, presi nel loro insieme, appaiono confortanti, ad una analisi più attenta il bicchiere potrebbe essere più vuoto che pieno. Se il consumo globale si sta spostando verso oriente, proprio qui scontiamo in maniera decisiva la nostra cronica incapacità di fare sistema e di promuovere efficacemente i nostri prodotti, perdendo posizioni su posizioni.

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Il vino italiano alla conquista del mondo. Questo potrebbe essere, ed infatti lo troviamo di frequente, uno dei tanti titoli di giornale, nelle rubriche sul “made in Italy”, alla vigilia di importanti manifestazioni come il Vinitaly o quando vengono resi noti i dati statistici delle esportazioni vinicole. È davvero così?

In parte è vero e in parte non lo è, ma diamo prima un occhiata ad alcuni dati macroeconomici.

- Per il 2012 e probabilmente anche per il 2013 l'Italia si conferma come il primo produttore mondiale di vino (45 milioni di ettolitri su un totale di produzione mondiale di 280 milioni di ettolitri), anche grazie a vendemmie storicamente scarse in Francia (secondo paese produttore). Ancora più interessante il dato se si pensa che dal 2000 ad oggi l'Italia ha “perso” qualcosa come 140.000 (ha) ettari, grazie alle estirpazioni (con sovvenzioni europee e non).

- A fine anni '80 l'Italia esportava una media di 12,6 mhl (milioni di ettolitri) con una quota del mercato mondiale di quasi il 30%, mentre a fine 2012 esportava poco più di 21 mhl (+70%) ma la sua fetta del mercato mondiale, che nel frattempo è più che raddoppiato in volume, era scesa al 21%.

- La crescita in volume negli anni scorsi si è arrestata, e i volumi sono diminuiti (a causa di vendemmie scarse e aumento conseguente dei prezzi dei vini sfusi), mentre la crescita in valore è continuata, tanto che oggi l'esportazione di vino italiana ha sfondato il tetto psicologico dei 5 miliardi di euro (con una bilancia assolutamente favorevole dato che importiamo solo 300 milioni di euro di vino dall'estero).

- Il valore medio del vino esportato in bottiglia è di circa € 3 al litro (€ 3,50 per gli spumanti) e di circa € 0,87 al litro per il vino sfuso (che tende sempre di più ad essere imbottigliato nel paese di consumo finale).

- Il consumo di vino domestico in Italia è da molti anni in forte calo: -27% dal 2000 al 2012, con un consumo pro capite passato da 54 a 37 litri/annui. L'Italia è sempre uno dei maggiori paesi consumatori di vino al mondo (dopo Francia e USA), ma è uno di quelli, insieme alla Spagna, dove la diminuzione del consumo interno è stata maggiore. In Francia il calo è stato del 12%, ma c'è anche chi sta peggio di noi, come la Spagna, dove il calo è stato addirittura del 34% (un grosso problema visto che la produzione è invece aumentata moltissimo, 40 mhl nel 2013, ben il 23% in più del 2012!).

Cosa ci raccontano questi dati sommari? Ci dicono di un mondo globale del vino che è profondamente cambiato in una decade, in cui i paesi consumatori e i paesi produttori sono cresciuti (la Cina oggi è comodamente il 4° paese produttore al mondo con oltre 500.000 ha di vigneti). Ci dicono anche che il consumo del vino nel mondo è cambiato e si sta sempre più riequilibrando tra i paesi produttori storici del vecchio mondo, i quali consumano sempre meno, e che c'è uno spostamento graduale e costante del baricentro verso oriente e verso il nuovo mondo, sia a livello produttivo che di consumi. Ancora: ci dicono che il rapporto tra domanda ed offerta globale, pur con tutti i cambi di scenario descritti, rimane in sostanziale bilancio, con la consueta moderata eccedenza di produzione in rispetto alla domanda.

Nel frattempo l'Italia ha svolto abbastanza bene il proprio compito, aumentando le esportazioni e diminuendo il potenziale produttivo fatto di vigneti di qualità inferiore. Se guardiamo al nostro principale competitor, la Francia, vediamo però che siamo ancora lontani dai livelli di profitto e di immagine dei nostri "cugini". Mentre ci rallegriamo di aver sfondato quota 5 miliardi di export, la Francia era già oltre quella soglia nel 2000, e oggi veleggia verso gli 8 miliardi di export (7,85 per la precisione), con volumi inferiori ai nostri. Il che tradotto significa che vende a prezzi medi ben più remunerativi (€ 5,4 al litro in media contro i nostri € 2,3), grazie alla volata di vini di gran pregio, prodotti in quantità significative, come lo Champagne, i vini di Borgogna e quelli di Bordeaux (mentre sui prodotti di pregio inferiori i prezzi sono comparabili all'Italia).

Se si guarda in maggior dettaglio dove va il vino italiano (dati 2012 relativi al vino imbottigliato), ci si accorge che i paesi in cui siamo forti sono i mercati tradizionali e consolidati, come USA (25 %) Germania (19%), Regno Unito (11,6%), Canada (7%), Svizzera (6%), paesi scandinavi (5%), ma siamo ancora troppo poco presenti nei paesi emergenti e a forte potenziale di crescita. Il caso emblematico è la Cina, in cui l'Italia è il quinto paese per export, ma detiene solo il 6% della quota di mercato dei vini importati, mentre la Francia è al 50%.

Si potrebbero fare analisi di mercato sofisticate (se ci fosse un organismo che le facesse) sul perché il vino italiano abbia delle performance così variabili in questi mercati, ma già il buon senso ci fornisce una indicazione di massima abbastanza credibile: nei paesi tradizionali citati, esistono comunità di italiani emigrate nel passato molto consistenti; il cibo, il vino e la cultura materiale e artigiana del nostro paese sono ben conosciuti ed apprezzati, e in qualche modo queste comunità di nostri connazionali stabilitesi all'estero hanno funzionato da straordinari ambasciatori del “made in italy” enogastronomico.

Laddove invece per ragioni storiche questa presenza è mancata, la tradizionale scarsa propensione a fare sistema, ancora più importante per la comunicazione di un prodotto complesso e a volte considerato complicato dai consumatori come è il vino, ha influito sulla penetrazione nei mercati. La Cina, e più in generale l'Asia, con forse l'unica eccezione del Giappone che va considerato un mercato maturo da questo punto di vista, rappresentano un esempio quasi scolastico.

La Francia ha saputo comunicare bene e in modo organico e continuato la propria tradizione vinicola, generando fenomeni di moda anche con eccessi ed esagerazioni, come l'ascensione a mito di vini come Lafite (con conconseguenti speculazioni e contraffazioni), che sono tuttavia stati funzionali alla creazione dell'ideale vino come qualcosa di appartenente alla Francia. Altri paesi del nuovo mondo sono stati capaci di comunicare in maniera efficace, in particolare Australia e Cile, e persino la Spagna, anche grazie ai prezzi aggressivi, ci sopravanza.

Il fatto è che l'Italia è l'unico paese vinicolo importante (anzi, il più importante, almeno quantitativamente) a non avere un “generic body of promotion, come il Wine Australia, Wine of Chile, Wines from Spain, Sopexa, che possa coordinare la comunicazione in modo uniforme e possa impostare progetti di grande respiro, sviluppati sul medio e sul lungo termine, necessari per affrontare mercati emergenti dove si deve praticamente cominciare da zero.

Persino la raccolta statistica delle informazioni di vendita del vino italiano, per non parlare di ricerche di mercato necessarie per impostare programmi efficaci (ed efficenti), è relegata a organismi non ufficiali, o a enti di promozione locale, rendendo difficile persino per un italiano una visione di insieme. Alcune delle critiche che vengono fatte quando si parla della cosituzione di un ente “Wine Italia” si basano sulle esperienze passate, non proprio incoraggianti, di enti simili (“non il solito carrozzone!”, ha esclamo un noto produttore toscano durante una conversazione poco tempo fa). Anche l'ICE (Istituto per il Commercio Estero) stesso non è stato esente da critiche (e in passato ne è stata tentata la chiusura, assimilandolo al rango di “ente inutile”).

Io credo che sia giunto il momento di andare oltre questo senso di inferiorità che ci lascia sconfitti in partenza, e che sia necessario agire imparando dagli sbagli passati e dalle lezioni degli altri. Copiare dai più bravi, a volte, è un esercizio di umiltà virtuosa.

 

Dati tratti da:

- OIV Organisation International de la Vigne e du Vin
- Inumeridelvino.it