In Italia ci sono alcuni discorsi pubblici che ciclicamente appaiono sugli organi di stampa e nella dinamica politica. Soprattutto negli ultimi due anni, è comparso l'argomento di quanto sia intollerabile mantenere un basso livello di imposizione tributaria sul comparto dei giochi pubblici (slot machine, giochi online, scommesse), il cui mercato si sarebbe pasciuto nella crisi economica degli Italiani, rovinandone parecchi. La realtà, come sempre accade, è più complessa, e nasconde diavoli nei dettagli.

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Le grandezze economiche utilizzate a sostegno degli argomenti per una maggiore pressione fiscale sui giochi sono fuorvianti. Dal 2008 al 2012 il mercato dei giochi ha quasi raddoppiato il proprio giro d'affari, passando da 47,5 miliardi di euro a 87 miliardi, producendo un gettito fiscale di 8,1 miliardi nel 2012.

Questo dato però non tiene conto di un concetto fondamentale nel meccanismo di distribuzione del valore generato dalla filiera, il payout, vale a dire quanta parte della raccolta è tornata indietro ai giocatori sotto forma di vincite. Si tratta di 70 miliardi nel 2012, che sottratti dal totale della raccolta, danno 17 miliardi di spesa lorda. Dalla spesa lorda vanno poi ulteriormente sottratte le imposte pagate all'Erario (8,1 miliardi di euro, come già riportato) e l'aggio dello 0,8% riscosso dai Monopoli di Stato (ex A.A.M.S., ora confluita nell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli). In definitiva, nel 2012 le imprese che offrono giochi in un mercato amministrato e regolamentato pesantemente dallo Stato hanno riportato un utile di circa 8,5 miliardi.

Ancora più interessanti sono i dati che comparano la progressione del payout nel periodo 2008-2012 con quelli della raccolta: mentre quest'ultima è cresciuta di quasi il doppio, il payout è più che raddoppiato, passando da 33 a 70 miliardi.

Recentemente, in sede di discussione della Legge di Stabilità 2014, l'idea di allineare all'insù le aliquote erariali sui giochi online era stata sbandierata come killer application nella definizione del contenzioso politico ruotante intorno all'abolizione della cosiddetta mini-Imu, così come da diverse sedi istituzionali, in primis il Parlamento, si è fatto spesso notare come a le aliquote troppo basse imposte su online e apparecchi da intrattenimento non abbiano compensato la contestuale riduzione di gettito da Lotto,Superenalotto e Scommesse, determinando nel 2012 una riduzione del gettito di 600 milioni rispetto all'anno precedente.

Chiede il buon legislatore, interessato all'interesse generale: "è equo e giusto che giochi ad alto potenziale di devianza sociale, come le slot, siano tassati ad aliquota bassa, nonostante crescano in barba alla crisi economica?"

Se le cose stessero nei termini descritti, la risposta sarebbe ovviamente "No, non è giusto". Ma non stanno così, e vediamo perchè. Gli apparecchi da gioco sono la principale fonte di ricavi per il mercato, e per lo Stato, in tutto il mercato dei giochi. Da essi sono derivati 48 miliardi di giro d'affari complessivo nel 2012 e oltre 4 miliardi di gettito, su 8 complessivi. Sono tassati attraverso un tributo il cui nome è Prelievo Erariale Unico (PREU). L'aliquota nominale del PREU sulle videolotterie è del 5%. Bassina, direbbe il sopra citato legislatore. Non esattamente, se si considera che il questi apparecchi hanno un payout di mercato dell'89%, e che quindi l'aliquota del 5% va calcolata sull'11% di raccolta che residua, determinando un'aliquota fiscale reale del 43,6%, la più alta in Europa su questo tipo di gioco.

Incrementare il carico si potrebbe, certo. Ma cui prodest? Alle mafie, probabilmente. Spingere i giochi, e le slot in particolare, sotto livelli di sostenibilità economica per gli operatori del circuito legale controllato dallo Stato, farebbe immediatamente rifluire parte di esse nel mercato nero, vanificando lo sforzo di regolarizzazione compiuto dallo Stato italiano negli ultimi 8 anni, durante i quali esso ha usato, con successo, la leva regolamentare e tributaria per far emergere diverse centinaia di migliaia di apparecchiature dagli scantinati dei bar controllati dalle cosche.

Ma, obietta il solito legislatore interessato al bene generale, molte persone hanno sviluppato una dipendenza dal gioco che è preoccupante. Non si può non convenire sul fatto che la ludopatia, o più propriamente il "gioco d'azzardo patologico", sia un fenomeno che desta allarme e preoccupazione. Tuttavia, le sue cause vanno comprese a fondo, se l'obiettivo è sviluppare strategie di contrasto efficaci.

Come riporta un'indagine conoscitiva conclusa dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati ad agosto 2012, dalla sindrome "Sono interessati con una certa prevalenza i ceti meno abbienti e le persone più povere da un punto di vista relazionale che cercano, attraverso il gioco, di coltivare un sogno che talvolta però si traduce in un incubo. Il fenomeno è legato alla scarsa diffusione della cultura scientifica ed alla larga tendenza a convincersi di poter acquistare un sogno" (enfasi mia).

Mutatis mutandis, ciò che predispone gli Italiani al gioco patologico è il medesimo mix di ignoranza e creduloneria che li spinge a fidarsi del metodo Stamina e a ripudiare i vaccini. Rispetto a una simile inclinazione antropologica, sociale e culturale nei confronti di insondabili promesse verso la scorciatoia, buttare fuori mercato qualche imprenditore del gioco, per via regolamentare o fiscale, avrebbe l'effetto perverso sortito da tutti i proibizionismi: nutrire l'offerta illegale di un servizio per il quale la domanda continuerebbe ad esistere.

Questo discorso non vuole evadere la domanda, di policy, rispetto al "che fare" per contrastare il gioco patologico. Intanto è già un passo avanti il fatto che il gioco patologico sia stato inserito tra le patologie ricomprese nei Livelli Essenziali di Assistenza (articolo 5, comma 8 del decreto legge 158/2012). Per andare oltre nell'approntare soluzioni efficaci, occorre che tutti i percettori di valore dalla filiera dei giochi, incluso lo Stato, reimpieghino parte delle risorse a disposizione per finanziare interventi mirati al recupero dei soggetti affetti. Non è questa la sede per dettagliare le politiche necessarie, ma gli esempi di azioni possibili sono molti, e la Gran Bretagna, per citare un benchmark, ne offre alcuni, finaziati con gettito sottoposto a vincolo di destinazione.

Questa "partita" potrebbe giocarsi in sede di discussione della legge di delega fiscale, ferma in Commissione Finanze alla Camera da diversi mesi. Trovare la quadra non sarà facile, e soprattutto non sarà gratis, come piacerebbe ai Comuni, che pretendevano di poter diminuire la base imponibile (cioè i punti gioco autorizzati nei propri confini) senza perdere il relativo gettito, che vorrebbero in ogni caso garantito dallo Stato. Un riordino della materia, delle competenze e degli interventi nel comparto dei gioci, è oggi più che necessario che mai, perchè ciascuno, dai giocatori allo Stato, si assuma le responsabilità delle proprie scelte.