C’è una “via Lattea” che collega la statale 18 campana alla East Coast americana. Ma per percorrerla, è necessario che ciò che è stato concepito per “proteggere” venga rimodulato per “raggiungere”…

Dopotutto, la mozzarella è nata per strada. Quella dei pellegrini che nel Medioevo, ogni anno, una volta almeno, marciavano in processione verso il monastero di San Lorenzo in Capua. Lì i locali monaci erano soliti ricambiare lo sforzo offrendo un formaggio chiamato mozza, o provatura nella sua variante affumicata, accompagnato da pane. Da allora di strade la mozzarella ne ha percorso mille altre. Strade fisiche e no. Di processo e di prodotto. Al punto che a Paestum, in provincia di Salerno, ogni anno si tiene una convention dal titolo emblematico: “Le strade della Mozzarella”.

Una è senza dubbio la Strada Statale 18, la Route 66 della mozzarella di bufala DOP, un’arteria che proietta la bassa Campania e il suo capoluogo, Salerno, in Calabria, attraverso le bellezze paesaggistiche del Cilento. Lungo questo tratto è più facile trovare un caseificio che una pompa di benzina. E credo, del resto, che vi siano più bufale che auto, in questa grande area del Mezzogiorno. Strada prevalentemente costiera, la Statale 18 nasconde più di ciò che svela. I caseifici, qualche volta trasformatisi in vere e proprie tenute capaci di intercettare un esigente turismo gastronomico, sono come un diaframma tra il bel mare di fronte e la profondità della terra che sta dietro, nel parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Lì dove Goethe incrociò le bufale sulla sua strada, che descrisse con parole poi diventate celeberrime: «La mattina dopo, per tempissimo, trottammo per vie impraticabili e qua e là paludose fino ai piedi di due belle montagne, attraversando canali e ruscelli e incontrando bufali dall’aspetto di ippopotami e dagli occhi selvaggi e iniettati di sangue».

Fare due passi intellettuali lungo le strade della mozzarella equivale a fare un’escursione dentro il tema di questa terra, che poi è un tema italiano: come tradurre in ricchezza materiale la sua bellezza. Da questo punto di vista, la mozzarella di bufala DOP, che viene prodotta qui e in pochi altri posti, è un trasformatore di successo, ma neppure tanto.

Essa nasce come prodotto del latte di animali nati e foraggiati lì, in Campania, con la terra di lì. Tagliata dalle mani di gente che lì vive e lì, vivaddio, lavora. Non tutto il latte di bufala diventa mozzarella DOP. Tecnicamente, quella è la sorte che tocca soltanto al latte trasformato seguendo le regole di uno stretto disciplinare di produzione. Cioè al 70 per cento di esso. Nel 2012, su 250.000 tonnellate di latte di bufala, 95.000 non sono diventate DOP perché il disciplinare richiede che il latte debba essere trasformato in mozzarella DOP entro 60 ore dalla sua mungitura. Tra controlli e intervalli naturali di mungitura, quando tutto il latte di bufala trasformabile arriva al casaro, questi ha meno di ventiquattrore per decidere che farne, per capire se il mercato domanderà tutto il quantitativo in mozzarella DOP oppure no. Una decisione che dipende anche dall’efficienza delle reti logistico distributive, oltre che dalle preferenze dei consumatori, che aumentano in estate, mentre le bufale producono più latte in inverno. Per cui, ogni volta che c’è un disallineamento tra domanda ed offerta, il latte può esser solo congelato o trasformato in altro formaggio bufalino, che ha un valore di mercato inferiore alla DOP. A ciò si aggiunga che il latte bufalino, qui, nelle terre del Consorzio di cui fanno parte Salerno, Napoli, Caserta, qualche comune del Basso Lazio, della provincia di Foggia in Puglia e la sola Venafro in Molise, costa il 30% in più che altrove, il che pone un non trascurabile problema economico.

Nel 2012 sono stati prodotti 37 milioni e 56 mila chilogrammi di Mozzarella di Bufala Campana. La zona a più alta capacità produttiva di bufala DOP è quella delle province di Napoli e Caserta, che fanno il 58 per cento del totale. La provincia di Salerno, da sola, produce invece il 34 per cento. Il basso Lazio e Foggia, rispettivamente, il 7 e l’1 per cento. Con questi numeri, la mozzarella DOP è il principale formaggio DOP del Mezzogiorno d’Italia. Il suo indotto dà lavoro a 15mila persone. Ciononostante, complici la crisi economica e qualche norma inadeguata del disciplinare di produzione in vigore, il fatturato al consumo è rimasto costante a 500 milioni di euro negli ultimi tre anni.
Oggi ci sono due opportunità, diciamo pure due strade intrecciate tra loro, che questo prodotto e la sua filiera dovrebbero saper percorrere nel prossimo futuro. La prima  è la riforma della Politica Agricola Comune (PAC) in sede europea, che forse condurrà al superamento dell’odioso meccanismo delle quote latte, a cui comunque il latte bufalino fa eccezione. La seconda è il trattato euro-americano per l’istituzione della più grande e ricca area di libero scambio al mondo, dal quale l’Italia avrebbe molto da guadagnare.

Suonerà strano, ma la mozzarella di bufala campana DOP è, se così si può dire, un prodotto europeo, nel senso che il suo status giuridico e le tutele da esso conferitele derivano da un regolamento europeo, il 510 del 2006, che ha istituito e regolato l’attribuzione delle certificazioni IGP (Indicazione Geografica Protetta) e DOP (Denominazione Di Origine Protetta) in tutti i paesi europei. Estendendo un assunto valido per tutta la PAC europea, anche quella del regolamento è una ratio protezionista, probabilmente neppure necessaria, dal momento che in assenza di esso nulla avrebbe vietato ai produttori di costituirsi in consorzi e marchiare i propri prodotti di qualità per renderli più riconoscibili dai consumatori, che restano perfettamente in grado di orientare le proprie preferenze a seconda della qualità di ciò che comprano. Tanto che, in un certo senso, il rilancio della mozzarella di bufala campana nel mondo, oggi dipende largamente da una revisione del disciplinare tecnico che renda la produzione economicamente più sostenibile. Tuttavia, tale processo è complicato, perché deve passare da almeno tre livelli istituzionali di  decisione: quello consortile, poi ministeriale e infine dalla Commissione UE.

Al momento il mercato europeo degli IGP caseari è dominato dal nostro Paese. L’Italia ha il 54 per cento delle vendite di formaggio nel mercato interno, seguita dalla Francia al 25 per cento. Il 38 per cento delle vendite totali di formaggi italiani in Europa è dato da prodotti DOP e IGP. Tra essi, la mozzarella di bufala è terza in termini di fatturato, preceduta da Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Il consumo di questo prodotto è per larga parte domestico, ma il 25 per cento di esso viene esportato. Nella sua strada verso l’estero, la mozzarella di bufala molto spesso, al bivio, imbocca la direzione USA. Gli Americani l’anno scorso hanno importato 2milioni 500mila chili di mozzarella di bufala campana DOP per un valore alla produzione di oltre 21 milioni di euro, e sono il principale acquirente estero di “oro bianco”, con il 28 per cento delle esportazioni totali.

Questo dato sottolinea in maniera quasi autoevidente le ragioni per cui la definitiva apertura del mercato euro statunitense costituirebbe un’opportunità enorme per tutto il made in Italy. Già oggi, la mozzarella di bufala campana fruisce di un regime doganale di favore, ed entra nel mercato a stelle e strisce senza pagare tariffe doganali né soggiacere a quote che ne limitano il quantitativo. Tuttavia, la mozzarella paga un dazio che è pari all’8,5 per cento del totale della merce esportata, che contribuisce a lievitare i prezzi del prodotto finito negli scaffali della Grande Mela, dove un chilo di mozzarella arriva a costare fino a 50 dollari.

Un ulteriore vantaggio indiretto della liberalizzazione degli scambi tra Europa e States deriverebbe dalla verosimile riduzione del fenomeno dell’italian sounding, che il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala DOP stima arrecare un danno per mancati introiti per almeno 100 milioni di euro. Lo stesso Consorzio pare consapevole della grossa chance commerciale che aprirebbe l’accordo. Con prezzi più bassi, potrebbe esportare il 40 per cento in più di prodotto, per un valore di circa 8 milioni di euro. Però, per agganciare questa bonanza, vanno prima fatti un po’ di compiti a casa.

Innanzitutto, l’Italia dovrebbe impegnare buona parte del suo semestre di guida del Consiglio in Europa, che cadrà nella seconda metà del 2014, per spingere l’acceleratore sul negoziato. In secondo luogo, per vendere più mozzarella di bufala oltreoceano, va cambiato il disciplinare di produzione in casa, in modo da permettere quantomeno la congelazione della cagliata di bufala, cosa consentita oggi soltanto per la mozzarella generica, che sdoganerebbe la vendita del prodotto DOP almeno all’interno della filiera professionale dell’industria alimentare, alberghiera e ristorativa.

I mercati non sono tutti uguali. E se è vero che al passante della Statale 18 sarebbe impossibile vendere un treccione di bufala dal quale non trasudi denso siero, probabilmente a Buffalo, o a Boston nel Massachusetts, c’è un consumatore più che entusiasta di trovare un marchio DOP italiano al ristorante, ancorché meno fresco che a Battipaglia.

Per raggiungere lo scopo, però, tutto ciò che fu legalmente concepito per proteggere, deve esser rimodulato per raggiungere. Altri mercati, nuove strade, luoghi non comuni. Una volta rimossi i vincoli che la danneggiano, la bufala campana può collegare la Statale 18 alla East Coast, costruendo una strada che può avere un solo nome: “via Lattea”.

 


 

Box 1: Un grave sospetto: la Lega Nord contro la Mozzarella di Bufala DOP?
Nel 2008, sotto l’egida dell’allora ministro delle Politiche Agricole, il leghista Luca Zaia, fu approvata la legge 205/2008, che imponeva ai casari di produrre la mozzarella di bufala in stabilimenti diversi da quelli destinati agli altri formaggi, sotto minaccia di revoca del marchio DOP. Successivamente, un decreto ministeriale di attuazione aveva disposto che la separazione avvenisse entro il 30 giugno 2013. L’intero impianto normativo, interpretato da molti come un sabotaggio della DOP che avrebbe favorito le produzioni di IGP settentrionali, è stato di fatto abrogato dal decreto del ministero delle Politiche Agricole del 10 aprile 2013, retto dal montiano Mario Catania, che ha salvato il comparto da un danno letale.


 

Box 2: UE, ovvero della lunghezza delle banane e della forma delle mozzarelle
La grande questione sul tavolo dei produttori di mozzarella di bufala DOP è la revisione del disciplinare tecnico di produzione, in base al quale la mozzarella di bufala riceve la denominazione di origine protetta istituita dal regolamento CE/510/2006. La proposta di modifica deve essere sottoposta dal consorzio al Ministero delle Politiche Agricole, e ne viene disposta pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Entro sei mesi ogni persona fisica o giuridica avente un interesse legittimo e stabilita o residente sul suo territorio può fare opposizione alla domanda di modifica. Se ciò non accade, la Commissione UE ha dodici mesi per pronunciarsi sulla validità della modifica ai sensi del regolamento. La vicenda giuridica si complica, però, qualora un istante si opponga alla modifica del disciplinare. In quel caso la Commissione UE avvia una fase di consultazione tra le parti in causa, alle quali viene richiesto di trovare un accordo. Se non lo trovano, è l’autorità di Bruxelles a decidere (articoli 5-9 del Regolamento).Questa procedura, troppo lunga e troppo complicata, non favorisce l’innovazione e introduce delle variabili politiche abbastanza discrezionali nella regolazione delle esigenze del mercato.