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Siamo tutti indaffarati a seguire le consultazioni del presidente della Repubblica, impegnato a dipanare la matassa e a provare a battezzare un governo che abbia una maggioranza parlamentare. E prestiamo dunque poca attenzione a una vicenda che, se confermata, rappresenterebbe un vero e proprio spartiacque della politica economica del Paese.

L’intenzione della Cassa Depositi e Prestiti, ergo del governo, di entrare nel capitale di TIM con una quota fino al 5 per cento del capitale, in modo da spostare gli equilibri nel cda (che sarà rinnovato nelle prossime settimane) e ridimensionare il peso della società francese Vivendi, che della compagnia telefonica italiana detiene al momento il 24 per cento.

Si tratterebbe, se l’operazione si realizzasse, del ritorno a una stagione di "capitalismo pubblico" nelle telecomunicazioni che pensavamo in un modo o nell’altro di esserci lasciati alle spalle. Non che non sia opportuna una costante manutenzione normativa e regolatoria, per assicurare e migliorare il grado di competitività del settore e per tutelare gli interessi dei consumatori. Ma il ritorno all'attivismo dello Stato/Imprenditore, peraltro attraverso il “fondo sovrano dei pensionati” (finché campano e finché il risparmio postale sarà una fonte significativa…), apre scenari inediti, anzi "passati".

Dalle indiscrezioni che circolano, pare che il governo Gentiloni abbia sentito le principali forze politiche del nuovo Parlamento, il M5S e la Lega in primis, e abbia avuto un sostanziale placet all’operazione. Come stupirsi, d’altronde le nazionalizzazioni e la “protezione” dei settori strategici italiani dall’invasore straniero (francese, quindi stranierissimo secondo la vulgata di oggi) rappresentano un pezzo fondante della visione politica grillina e salviniana.

C’è più da agitarsi, semmai, perché a muovere la prima mossa è stato il governo uscente, espressione soprattutto di un partito - il PD - teoricamente meno allergico alla concorrenza e all’attrazione degli investimenti esteri. Ma è ancora così? Gentiloni e Padoan sono in piena sindrome di Stoccolma, innamorati ormai dei loro carcerieri politici, o genuinamente convinti che gli interessi dell’Italia si difendono affermando l’italianità (ve lo ricordate come termine?) degli asset strategici nostrani?

A detta degli esperti sembra che non sarà una passeggiata raccogliere il 5 per cento di azioni sul mercato secondario, ma nonostante questo e altri caveat, la vicenda è di primaria importanza per il futuro dell’economia italiana e va seguita: tra una consultazione e l’altra, non è che sta nascendo il governo della (banda) larga intesa?