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Salvini è contro le sanzioni alla Russia di Putin poiché (testuale) provocherebbero “un danno incalcolabile all’economia italiana” e promette di toglierle non appena sarà al governo. Al tempo stesso promette anche di mettere dazi (testuale, ancora una volta) “come Trump” per proteggere il Made in Italy dalla concorrenza estera. Cosa mai potrebbe andare storto?

Per comprendere l’assurdità logica del ragionamento di Salvini partiamo proprio dalle sanzioni alla Russia: queste non danneggiano l’economia italiana, casomai ambiscono a danneggiare quella russa (per ragioni politiche, peraltro più che fondate). A provocare qualche danno ai nostri produttori agroalimentari sono casomai le ritorsioni imposte dalla Russia verso alcune categorie di prodotti. È vero, ci sono alcuni produttori che sono stati spiazzati da questa situazione, e comprensibilmente aspirerebbero al ripristino di una situazione di normalità.

Ma il caso delle sanzioni alla Russia e delle conseguenti ritorsioni è proprio un esempio in sedicesimo della situazione che si verrebbe a creare se decidessimo di mettere dazi sui prodotti stranieri. Quale sarebbe l’effetto sulla nostra economia se gli altri paesi decidessero di rispondere ai dazi di Salvini mettendo a loro volta dazi sulle nostre esportazioni? Perché mai le frontiere aperte aiuterebbero la nostra economia nel caso della Russia, ma la danneggerebbero per il resto del mondo?

Per quantificare poi l’entità del danno alla nostra economia delle ritorsioni russe alle sanzioni europee, e l’entità del danno che potrebbero provocare le guerre commerciali che Salvini intende scatenare con il resto del mondo, si possono scorrere le infografiche realizzate da OEC.

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Facciamo i maggiori volumi di esportazioni verso la Germania (58,3 miliardi di dollari), la Francia (48,6 miliardi di dollari), il Regno Unito (24,9 miliardi di dollari) e la Spagna (23,2 miliardi dollari). La Russia nel 2013, ultimo anno prima dell’inizio delle sanzioni importava prodotti per 13,9 miliardi di dollari (il 2,8% del totale delle nostre esportazioni), mentre nel 2016, anno a cui si riferisce l’immagine, era calata a 7,31 miliardi (1,6% del totale). Non sono cifre irrisorie, ma assolutamente marginali rispetto alla catastrofe post-nucleare che Salvini si propone di infliggere alla nostra economia.

L’ossessione di Salvini per i dazi e l'autarchia è il sintomo di un profondo analfabetismo economico per il quale rischiamo di pagare un prezzo salatissimo. Mentre pretendiamo di continuare, per propaganda, a dividere i prodotti in “nazionali” ed “esteri”, come negli anni ’50, il mondo è cambiato, e ogni prodotto è un mix di produzioni e forniture provenienti ogni parte del mondo. La chiave della competitività non è il protezionismo, ma occupare posizioni avanzate nella catena del valore: di ogni prodotto possiamo produrre la parte a più alto valore o quella a valore più basso, come aveva illustrato bene Emanuela Banfi su queste pagine: “le imprese italiane partecipano alle filiere globali soprattutto come fornitrici di produzioni intermedie a medio-bassa tecnologia (59% dei casi), nonché come venditori finali (41%), mentre le imprese tedesche partecipano per il 35% nelle fasi intermedie e per il 65% in quelle finali”.

L’Italia è un paese che si avvantaggia dalle frontiere aperte: il fatturato delle imprese con l’estero è in costante aumento, mentre la domanda interna continua a essere stazionaria, e l’export è la parte più dinamica del nostro PIL. Nel frattempo, i rapporti dal fronte della guerra commerciale tra USA e Cina raccontano abbastanza bene il mondo che verrà: elenchi di categorie merceologiche, di tipologie di prodotti, di settori produttivi che i governi di questo o quel paese decidono di premiare o penalizzare a piacimento, per giocare alla guerra, a prescindere dalla qualità dei beni, dalla loro competitività, dal gusto e dalle scelte dei consumatori. È davvero questo il mondo che vogliamo?