Cosa resta degli intrecci tra politica e finanza che hanno fatto la fortuna di fondazioni e banche italiane prima della grande crisi? Da MPS a Carige, da BPM a Fonsai, più che altro macerie. Dalle quali però sembrano riemergere, lontano dai riflettori, i vecchi vizi di un sistema di potere che non molla la presa.

BancheMedia

Lanciamo un nuovo indice di valutazione delle banche, il Por Tier 1”, si lascia scappare una battuta un banchiere d’affari commentando lo stato di salute di Monte dei Paschi e Carige. Travolte da un insolito destino nel mare della crisi. Perché chi di groviglio ferisce, di groviglio perisce. Lo sanno anche allo sportello della Popolare di Milano così come lo hanno capito gli agenti della Fondiaria Sai.

Quattro esempi – fra conti correnti e polizze – di società dove si stanno ancora facendo i conti con le eredità del passato fatto di prestiti agli amici degli amici, di rapporti incestuosi fra politica e finanza, di malagestio e di governance scassate. E dove oggi il mercato – e il cosiddetto parco buoi di Piazza Affari, ovvero i piccoli risparmiatori che si sono riempiti di titoli il portafoglio - contano quanto il due di picche a briscola.

Partiamo dal caso più eclatante, quasi da manuale: Mps. In un articolo di qualche tempo fa apparso su La Voce, Marco Onado ha ripercorso le vicende che hanno travolto l’istituto senese. Facendo notare che il problema del Monte viene spesso attribuito alle discusse operazioni in derivati Alexandria e Santorini nascoste al mercato e alle stesse autorità di vigilanza. “In parte, queste hanno contribuito ad anticipare indebitamente ricavi ai danni degli esercizi futuri, ma in larga misura si tratta della tipica emersione di perdite per effetto di sottovalutazione, più o meno dolosa, di fatti precedenti. Dunque, di un fatto traumatico, ma una tantum, che non dovrebbe pregiudicare la gestione ordinaria futura”, scrive Onado. Il problema è che anche se il timone viene affidato a capitani esperti (quali sono Alessandro Profumo e Fabrizio Viola) ma lo scafo della barca resta marcio dopo decenni di incuria e di infiltrazioni, condurre la nave fuori dalla tempesta diventa quasi impossibile. Per capirsi: a fine settembre 2013 Mps ha registrato un'esposizione netta in termini di crediti deteriorati pari a circa 20 miliardi di euro. Rispetto al 30 giugno 2013 sono aumentate tutte le componenti dell'aggregato: le sofferenze (+5,1%), gli incagli (+5,2%), le esposizioni scadute (+3,6%) e i crediti ristrutturati (+11,7%). Al 30 settembre la percentuale di copertura dei crediti deteriorati si è attestata al 40,8%, rispetto al 41,1% di giugno, confermandosi sostanzialmente sul livello dei trimestri precedenti.

Non solo. La redditività di base appare così bassa da rendere molto difficile il ritorno all’utile di esercizio e alla remunerazione del capitale. Colpa della gestione Mussari (su cui pende più di un’inchiesta giudiziaria dagli esiti ancora imprevedibili) e della degenerazione del rapporto tra comunità locale, banca e fondazione che richiedeva solo un flusso continuo di dividendi e fintanto che questi sono arrivati ha avallato scelte che si sono rivelate molto onerose: dal “peccato originale” di Antonveneta preceduto dall’altrettanto incauto acquisto di Banca del Salento. Ma come ricorda lo stesso Onado, la fondazione Mps è, per così dire, il caso più eclatante della regola, non l’eccezione.

Da Siena a Genova. Ovvero a Carige, la cassaforte del potere locale che decide che cosa si deve finanziare e cosa no. Da Burlando a Scajola, dagli amici della Curia romana (non a caso lo Ior aveva tentato di mettere radici nella Carige) ai Furbetti del Quartierino - vedi Gianpiero Fiorani che voleva reinvestire i proventi delle sue scalate. Passando per l'ex governatore Antonio Fazio che aveva qui sponde, a partire da Luigi Grillo. Un sistema di potere che solo dopo decenni di “attività” è finito sotto la lente di Bankitalia e delle procure. Le poltrone sono saltate, dopo la solita girandola di dimissioni, molti consiglieri sono stati indagati. Come a Siena anche in Carige operava un parlamentino parallelo, fatto di equilibri studiati con il bilancino. A farvi da garante il tandem Beneschi - Repetto, e a fare da cinghia di trasmissione fra la finanza e la politica ancora una volta la Fondazione, prima azionista con il 47% del capitale.

Ad essere connivente con i grovigli che hanno avvelenato la Banca Popolare di Milano non è stata una Fondazione ma un’associazione, quella degli Amici. Lo storico governo ombra della banca messo in liquidazione dopo essere finito nelle maglie di Consob, Banca d’Italia e Procura. Mentre in Fondiaria Sai le macerie sono state lasciate da anni di “sistema” Ligresti: la famiglia e i famigli. Ovvero i parenti ma anche i politici, banchieri, avvocati, professionisti vari, perfino prefetti della Repubblica. Salvatore Ligresti per loro è stato un punto di riferimento. Dall’ingegnere di Paternò hanno ricevuto case, incarichi professionali e societari con tanto di lauti compensi, a volte milionari.

Cosa è rimasto di questi grovigli oggi? Non solo macerie ma anche qualche focolaio che rischia di rigenerare antichi vizi e alimentare la cancrena. A Siena la Fondazione Mps ha deciso lo scontro frontale con il management guidato da Profumo e Viola chiedendo e ottenendo in assemblea di spostare l’aumento di capitale fino a 3 miliardi a maggio (e non a gennaio come chiesto dai vertici della banca) per avere il tempo di vendere le sue azioni e rimborsare così le banche creditrici. Intanto il titolo è sprofondato attorno ai 16 centesimi, già nelle prossime ore potrebbe andare anche peggio e la nazionalizzazione si fa sempre più vicina. Non solo. Si è anche parlato di un cordone sanitario raggruppato da diversi enti tra cui Cariplo, Cariverona e Compagnia SanPaolo, sotto la regia del dominus dell’Acri, Giuseppe Guzzetti e quello di Intesa Giovanni Bazoli. Segno che la cosiddetta manomorta delle fondazioni tanto morta ancora non è.

A Genova è arrivato, dalla Bpm, Piero Montani. Che deve far coincidere le grandi pulizie di bilancio (e di poltrone) con un nuovo piano industriale. La Banca d'Italia, al termine della sua ultima ispezione, come emerso dal verbale dello scorso settembre, ha ribadito la necessità di un rafforzamento patrimoniale da almeno 800 milioni (per ora ne sarebbero stati recuperati soltanto un centinaio con la cessione della controllata del risparmio gestito), oltre che quella di una forte discontinuità nella gestione, cosa che non ha fatto che accelerare l'uscita di Berneschi, già da luglio in aperto dissidio con la Fondazione. Nel frattempo Moody’s ha tagliato il rating da B2 a B3, portando l'outlook a negativo a causa dell'ulteriore deterioramento della qualità degli asset e della profittabilità dell'istituto ligure nel terzo trimestre, ora più deboli rispetto alla media del sistema bancario italiano, ma anche a causa dei dubbi crescenti sulla struttura patrimoniale.

Con una capitalizzazione di mercato di circa 981 milioni di euro, Carige ha infatti visto lievitare la perdita netta nei primi 9 mesi a 1,3 miliardi di euro. I crediti deteriorati sono aumentati di 865 milioni di euro nel terzo trimestre. E la prevista vendita di asset non-core va a rilento: la banca si è impegnata a febbraio a raccogliere 800 milioni di euro attraverso la vendita di asset ma finora ha raccolto solo 100 milioni di euro. Per questo la sfida di Montani sarà presentare un piano convincente sulla posizione di mercato delle filiali fuori Liguria (oggi debole), sull'assorbimento di risorse richiesto dalla gestione di un portafoglio di crediti dubbi pari al 200% del capitale e su come sciogliere la pressione sul margine di interesse dovuta al rimborso del Ltro (7,4 miliardi).

Lo stesso Montani ha lasciato una Bpm dal futuro incerto. Dalle liste per il consiglio di sorveglianza che a sua volta dovrà poi indicare il consiglio di gestione riemerge il passato. Come Ezio Maria Simonelli, grande conoscitore degli equilibri di Piazza Meda, dove sedeva nel consiglio di sorveglianza. Un professionista dalle relazioni importanti che vanta nel suo lungo curriculum anche numerosi incarichi ricoperti nella galassia di Silvio Berlusconi. O come Flavia Minutillo, socia dello studio di Simonelli nonché liquidatrice dell’Associazione degli Amici. In banca c’è infatti chi teme una riesumazione dei vecchi poteri, pronti a riprendersi la Popolare dopo la parentesi “anglosassone” di Investindustrial e di Andrea Bonomi. Poteri e interessi legati a Comunione e Liberazione. Ma anche poteri più romanocentrici vicini all’universo berlusconiano che ai tempi di Massimo Ponzellini facevano presa sull’istituto approfittando dell’assetto “cooperativo” in cui ogni testa vale un voto. Anche in questo caso c’è un aumento di capitale da varare nel 2014, sollecitato da Bankitalia. E anche in questo caso il mercato dove è? Sul fronte della governance si dà per scontato l'abbandono dell'ipotesi di una riforma in Spa anche se qualche aggiustamento dell'attuale modello di governo è atteso. Il problema è che va varato una ricapitalizzazione da almeno 500 milioni, di cui non si conoscono ancora i tempi, e un nuovo piano industriale.

E Fondiaria Sai? Le nozze con Unipol ormai sono state consumate, non si torna più indietro. E non tornano indietro nemmeno i soldi di chi aveva investito sul titolo della compagnia assicurativa dei Ligresti qualche anno fa e oggi si ritrova con perdite di oltre il 90 per cento. La rabbia monta. Tanto che il 4 dicembre scorso una folla con centinaia di persone si è assiepata dalle prime ore del mattino nell’ingresso del Palagiustizia di Torino. Poi, ha riempito la maxi-aula tre fino al limite della capienza. Circa mille, finora, i piccoli o grandi risparmiatori che si sono costituiti parte civile al processo Fonsai che vede alla sbarra per falso in bilancio e aggiotaggio informativo Salvatore Ligresti, gli ex amministratori delegati Emanuele Erbetta e Fausto Marchionni, l’ex vicepresidente Antonio Talarico. Mentre le figlie del patron, Jonella e Giulia, hanno patteggiato. Quanto ai piccoli azionisti, hanno sottoscritto l’aumento di capitale acquistando i diritti e poi si sono trovati con un pugno di mosche in mano. Le parti lese potrebbero moltiplicarsi e il processo Fonsai di Torino potrebbe superare il record del maxi-processo Eternit, che ne aveva seimila. Quel che resta dei grovigli.