telefonopubblico

Sono scomparsi da poco e già ne sentiamo la mancanza. C’è il commercialista che si rammarica di averne acquistati pochi per coprire le tre ore di pulizie settimanali. Il cingalese disoccupato col pennello in mano dà le ultime pennellate alla ringhiera dei giardinetti pubblici. Ha chiesto aiuto agli assistenti sociali, il comune gli ha proposto qualche piccolo lavoretto. La scorta di voucher del comune sta finendo ma arriverà il lavoro a chiamata, mi dice lo stradino. Questi stradini la sanno lunga, più dei commercialisti, penso.

Ma il Governo? Il voucher era una risposta sbagliata a una domanda giusta. La domanda rimane e migliaia di persone, imprese, famiglie sono lì con la domanda sulle labbra ad aspettare… bisognerà pur dare una risposta che non scontenti la Cgil, che non riaccenda il referendum, che non scateni il lavoro nero.

Così nel repertorio vasto della Legge Biagi rispunta il lavoro a chiamata, ossia quello che non ha mai dato frutto, quel contratto che pochi usano e quando lo usano non ne sono proprio entusiasti. L’idea è furba, perché non si inventa nulla di nuovo, si restaura. Come dire… un colpo al cerchio e uno alla botte. Abbiamo la risposta, è sempre stata lì davanti ai nostri occhi. Ma questo lavoro a chiamata cos’è?

È certamente una risposta molto diversa dal voucher. Come prima cosa prevede un vero contratto di assunzione mentre il voucher era un meccanismo che consentiva di attivare anche micro lavori. Qui c’è un rapporto, una registrazione, regole che fanno nascere diritti, prestazioni, ferie… che hanno come contropartita burocrazia, tassazione, contribuzione. Ha una sua flessibilità ma anche molti vincoli. Qualche protezione per il lavoratore c’è ma è proporzionata alle ore lavorate. Quante siano queste ore o giornate non è dato sapere, perché dipendono dall’esigenza del datore di lavoro. C’è un massimo ma non un minimo. Come… non c’è un minimo? Ma è a ore o a giornate?

In teoria potresti lavorare per altri ma devi essere disponibile per ciascuno dei tuoi datori di lavoro. E se ti chiamano tutti insieme? Se non ti chiamano mai? Il lavoro a chiamata ha quasi quindici anni di vita e non ha funzionato mai bene, lo dicono i numeri. I voucher erano tutt’altra cosa. Funzionavano fin troppo, lo dicevano i numeri

Forse si dovrebbe prendere il contratto a chiamata e trasformalo in un voucher? Tenere giusto il nome? Ma non sarà così, perché nella “risposta giusta alla domanda giusta” c’è una concezione del lavoro che cozza con lo spirito dei tempi che cambiano. C’è una "certa" idea di lavoro.

Un bel lavoro è scritto, è registrato, prevede un rispettabile cuneo fiscale, porta a una “sostanziosa” pensione e possibilmente, visto che è pieno di tutele, va preservato con una tessera sindacale. Che cosa sono queste forme variabili, instabili, dove le persone si sentono libere di accettare o rifiutare ingenuamente una proposta? Dove anche una signora che fa le pulizie è autonoma e libera dai controlli e dalle categorie? Che cos’è questo lavoro smaterializzato, instabile? I cittadini vanno protetti. Solo la carta li può tutelare.

Allora meglio il lavoro a chiamata, perché è vero lavoro. Ci sono tutte le caratteristiche e qualche piccolo difetto. Costerà quasi il doppio di un voucher per avere lo stesso netto. Ci sarà una amministrazione e gestione del contratto che per una piccola impresa è pur sempre un altro costo. Per non gravare troppo le piccole imprese, queste potranno avere solo un lavoratore a chiamata. Ma come? Il mio commercialista ha bisogno delle pulizie e di qualche ora di data entry. Chissà come se la cava la signora con excel?

Ma allora le famiglie che hanno bisogno della babysitter che faranno? E se avessi bisogno di un aiuto estemporaneo nella mia attività di libero professionista? Una piccola cosa che dura poco tempo? Alle nostre domande chi darà una risposta? Dico una risposta giusta, niente di straordinario, giusto una cosa a spot. Una risposta che vada bene per me e per il disoccupato. Se mi darà una mano – dico - almeno che non mi porti via il braccio!

Nel XXI secolo siamo ancora qui ad accanirci a infilare il gettone nello smartphone, quando questo potrebbe già contenere tutti gli elementi di controllo, di segnalazione, di pagamento, di assicurazione per la nostra babysitter. E se lo Stato vuol controllare? Che controlli come il controllore sul treno quando con un passaggio veloce del lettore, vede sul nostro smartphone quello di cui ha bisogno per lasciarci comodi seduti nel nostro posto.

Tutto semplice, tutto chiaro e smart. Si può fare. Forse per dare la risposta giusta bisogna tener ben presente la domanda.