Maran homeless

La globalizzazione ha reso il mondo piatto. Gli stessi brand, lo stesso cibo, le stesse mode, gli stessi smartphone, gli stessi social. Siamo eguali a livello planetario rispetto alle opportunità di consumare le stesse cose alla stessa maniera, alle latitudini più remote. Sono state create cose fantastiche in questi decenni, e queste cose sono circolate velocemente, e velocemente sono diventate di tutti. Spesso gratis. Amazon, Google, Wikipedia, Whatsapp, Facebook, Airbnb, Spyke, le compagnie aeree low cost: il noi consumatori ringrazia.

Il noi produttori invece ha paura. Dice che diventiamo professionalmente obsoleti prima ancora di diventare maturi. E che siamo un costo di cui dobbiamo farci carico noi. Sta a noi stare dentro alla filiera produttiva, adattarci alle sue necessità: organizzarci a riempire i buchi orari di lavoretti a chiamata, e a compensare l’imprevedibilità degli introiti con la gratificazione dei selfie scattati con lo stesso telefono della grande star.

Il problema non riguarda solo il preistorico inurbano rimasto fuori dall’innovazione: l’obsolescenza rapida riguarda tutti, l’ingegnere high-tech come il mozzarellaro metropolitano. E chi deve accollarsi i costi della formazione, dell’adeguamento professionale, della contrazione dei costi umani quando il miglior sostituto possibile del miglior lavoratore possibile, anche intellettuale, è un bot? E tuttavia non è l’innovazione, la minaccia. La minaccia è la frustrazione, lo spaesamento esistenziale che deriva dal non avere alcuna plausibile meta, ma solo un’idea vaga del viaggio - che comporterà molte soste, molti cambiamenti di mezzo, molti buchi tra una corsa e l’altra.

Se scappi dalla miseria, il lavoro ti serve a liberarti dall’indigenza. E vorrai che i tuoi figli abbiano una vita migliore, studino, si facciano strada ed abbiano la possibilità di non fare i sacrifici da schiavo che hai fatto tu. Ma se non fuggi dall’indigenza, hai studiato, lavorato senza badare ai gusti e alle forme contrattuali, hai fatto esperienze all’estero, imparato le lingue, aperto la partita iva, pagato le tasse e i contributi; e ciononostante, per la filiera produttiva resti un costo da abbattere, a cosa servi tu? E in cosa è diverso il tuo destino dal sacrificio proletario meta-globale del tuo papà?

Il dubbio che qualcosa sia sfuggito di mano, o non sia stato affatto ponderato, nel governo della globalizzazione, viene.

Nel boom economico degli Anni '60 comprare la tv o la 500, più che una gratificazione consumistica estemporanea, è il riconoscimento di un avanzamento sociale meritato con il buon posto in banca, al ministero, in fabbrica. Negli Anni 80 il valore sociale ricavato dall’acquisto del bene viene invece opzionato al valore economico del brand, posseduto ma soprattutto mostrato. Oggi cosa dice di noi “avere”? E cosa dice di noi “lavorare”?

Nel noi consumatori e nel noi produttori - cioè in noi - si incontrano due parti sociali in lotta solo ipoteticamente, perché nessuna delle due ha interesse a nuocere all’altra. Anzi, nessuna delle due nemmeno riconosce l’altra. In quei due “noi” non c’è veramente nessun “noi” - non siamo consumatori quando guardiamo uno streaming gratis, e non siamo produttori quando montiamo la sera in bici per consegnare pizza e sushi prenotate via app, dopo aver dato ripetizioni di fisica, di giorno.

Il consumo non ci rappresenta, il lavoro non ci assegna un ruolo produttivo. Il valore soggettivo del consumatore/produttore globalizzato è sostanzialmente nullo. Abbiamo un enorme menù di opportunità su come impiegare il nostro tempo, non abbiamo l’opportunità di dare al nostro tempo un valore esistenziale: costa poco consumare, rende poco lavorare. E “costo” e “resa” qui si intendono ponderati sul quanto “noi” ci sia nella capacità di consumare e nella possibilità di produrre.

Quel simulacro di “noi” statisticamente rilevato potrebbe in realtà essere chiunque altro, anche di molto diverso e molto lontano. Un puntino in un mondo lunghissimo e piatto, che deve muoversi per non restar fermo e cadere; ma non ha un dove verso cui andare, e deve stargli bene così.

La frustrazione - non potere, pur volendo - è un connotato economico e, quando diventa fattore strutturale di sistema, un connotato politico. La cosa più facile è cavalcarla, rilanciare sempre di più - la frustrazione aumenterà e porterà voti. Più difficile è governarla. La sola domanda - come governare? - comporta allungare lo sguardo, approfondirlo, spiare oltre il già codificato: oltre la Silycon Valley e la soluzione algoritmica alla felicità; oltre gli alibi neo-marxisti per il capitalismo oligarchico di Trump.

La risposta protezionista, come quella neo-socialista, restituisce l’illusione di poter rivendicare il valore del bene “noi” che il mondo ci assegnava in era pre-globale. Il "noi" protezionista - identitario o ideologico - difende il noi produttori dal noi consumatori. La risposta global-ottimista consegna invece il “noi” al ruolo di consumatore di beni a costo tendente a zero, in cui produrre è funzionale alla necessità che quel costo rimanga zero: è la difesa del noi consumatori dal noi produttori. Nessuna delle due opzioni restituisce però valore esistenziale al "noi" globalizzato: non un valore sociale al consumo, non un valore economico al lavoro. E non un valore politico tout court.

Protezione! Socialismo! Globalità! Ripeschiamo immagini evocative dal già visto della storia e le riproponiamo per incapacità, o forse effettiva impossibilità, di disegnare orizzonti di senso consistenti con l’attuale e prospettica complessità. Per quanto complessa sia questa complessità però alla fine l’unità di misura è a noi tutti vicina: noi stessi, consumatori e produttori. Ma soprattutto "noi" ingranaggio del motore politico che governa questo nostro stesso mondo.

A questo motore serve carburante - non slogan. Il reddito di cittadinanza è la parola-chiave per il noi consumatori; il lavoro di cittadinanza, per il noi produttori. Intanto la frustrazione intra-noista dell’uomo globalizzato resta ancora tutta là, perché in nessuno di questi scenari si intravede come quest’uomo possa in realtà compiersi come cittadino.

@kuliscioff