TimCook

La recentissima decisione della Commissione europea che impone all’Irlanda di recuperare 13 miliardi di tasse non riscosse a carico di Apple, ha portato a galla un grosso problema dell’Unione europea e due diversi blocchi di pensiero sull’argomento.

Il problema è quello relativo alla capacità degli Stati membri di attrarre le grandi compagnie multinazionali concedendo loro, tramite appositi accordi, trattamenti fiscali di favore in assenza di una politica europea unitaria in materia. I due blocchi di pensiero sono quelli che contrappongono l’Ue da una parte - che vede questi trattamenti di favore come contrari ai principi di libera concorrenza che dovrebbero regolare il mercato - e dall’altra Apple (e gli Usa) che si difende puntando tutto sulla sovranità e l’autonomia fiscale di ciascuno Stato membro.

Apple e la sovranità fiscale. Nella sua lettera ai clienti, il CEO di Apple Tim Cook non si è dato molto da fare per respingere le accuse della commissaria Margrethe Vestager - se non prendendosi due righe per dire che la sua azienda ha pagato le tasse che l’Irlanda gli ha chiesto, e che non c’è stato alcun accordo di favore -, ma ha puntato tutto sul diritto dell’Irlanda di decidere in autonomia la propria politica fiscale, mettendo in dubbio i poteri dell’Unione europea in materia e addirittura la sua legittimità, facendo inoltre leva sul ricatto psicologico e politico dei posti di lavoro e degli investimenti che si potrebbero perdere se l’Ue andasse avanti per la sua strada.

“La mossa senza precedenti della Commissione ha implicazioni gravi e di vasta portata - scrive Cook -. Di fatto è come proporre di sostituire la normativa fiscale irlandese con quel che la Commissione ritiene avrebbe dovuto essere tale normativa. Sarebbe un colpo devastante alla sovranità degli Stati membri in materia fiscale e al principio stesso della certezza del diritto in Europa. L’Irlanda ha dichiarato di voler ricorrere in appello contro la decisione della Commissione. Apple farà altrettanto, e siamo fiduciosi che l’ordine della Commissione verrà ribaltato”.

Le accuse dell’Ue. Nel dettaglio, secondo la Commissione, grazie a due specifici ruling fiscali, l’Irlanda ha “considerevolmente e artificialmente abbassato le imposte che la società ha versato in tale Stato membro a partire dal 1991”. In altri termini: l’Irlanda - offrendo vantaggi fiscali non generalizzati a tutte le aziende del settore - ha concesso aiuti di stato alla sola Apple, comportamento illegale sotto le norme Ue. Non è quindi la sovranità tributaria-fiscale in sé al centro della decisione, ma il suo uso in una logica anti-mercato e anti-concorrenza.

Secondo la Commissione, i due ruling del 1991 e del 2007 (che dal 2015 non sono più in vigore) “approvavano modalità di determinazione degli utili imponibili di due società di diritto irlandese appartenenti al gruppo Apple (Apple Sales International e Apple Operations Europe) non corrispondenti alla realtà economica: la quasi totalità degli utili sulle vendite registrati dalle due società veniva imputata internamente a una "sede centrale". Dall'analisi della Commissione è emerso che queste "sedi centrali" esistevano solo sulla carta e non potevano aver generato tali utili. In virtù di specifiche disposizioni del diritto tributario irlandese oggi non più in vigore, gli utili attribuiti alle "sedi centrali" non erano soggetti a tassazione in nessun paese. Grazie al metodo di assegnazione avallato con i ruling fiscali, Apple ha pagato sugli utili di Apple Sales International soltanto un'aliquota effettiva dell'imposta sulle società che dall'1% del 2003 è via via scesa fino allo 0,005% del 2014”.

Lo schema in sintesi sarebbe questo: tramite due società la Apple ha generato negli anni una marea di utili dalle vendite. Quasi tutti gli utili, anche quelli derivanti dagli acquisti effettuati dai clienti in Stati membri diversi dall’Irlanda (e le partita Iva che hanno acquistato da Apple.it lo sanno bene), sono però stati imputati a una sede centrale che, per via degli accordi, non è soggetta a tassazione. Un’altra parte è confluita negli Usa nella società madre Apple Inc, per finanziare ricerca e sviluppo, esentasse.

La Commissione prende in considerazione due anni in particolare: “Ad esempio - si legge nella nota per la stampa - nel 2011 (secondo le cifre comunicate durante audizioni pubbliche del Senato USA) Apple Sales International ha registrato utili per 22 miliardi di dollari (circa 16 miliardi di euro) ma a norma del ruling fiscale solo 50 milioni di euro circa erano considerati imponibili in Irlanda: rimanevano quindi 15,95 miliardi di euro di utili non tassati. Di conseguenza, nel 2011 Apple Sales International ha versato in Irlanda un'imposta societaria che non raggiunge i 10 milioni di euro, corrispondenti a un'aliquota effettiva dello 0,05% dei suoi utili annuali complessivi. Negli anni successivi gli utili registrati da Apple Sales International hanno continuato a crescere, ma non quelli considerati imponibili in Irlanda secondo il ruling fiscale. Pertanto l'aliquota effettiva è diminuita ulteriormente, fino a scendere ad appena lo 0,005% nel 2014”.

Il fisco come strumento per alterare la concorrenza nel mercato. Tim Cook non ha pubblicamente smentito questi fatti, si è solo limitato a dire che Apple ha pagato all’Irlanda quanto richiesto, considerando quello Stato l’unico soggetto legittimato a lamentarsi nel caso di irregolarità. Cosa che - ovviamente - non è avvenuta: l’Irlanda infatti presenterà ricorso contro la decisione. Ed è abbastanza normale che sia così: se per ben due volte ha davvero concordato e approvato delle regole di favore per Apple, è difficile che poi si sconfessi chiedendo indietro soldi che - per le sue stesse regole - non gli erano dovuti.

Su un punto Cook ha ragione: la società che amministra ha pagato le tasse che gli sono state richieste. Il problema è che questo non è mai stato messo in dubbio, perché il nodo sta proprio in quella richiesta: le regole speciali che hanno permesso una tassazione effettiva tendente allo zero sono considerate dall’Ue un meccanismo artificiale non per eludere le tasse, bensì per falsare il mercato europeo concedendo un aiuto di stato esclusivo a una singola (e grossa) impresa. La sovranità fiscale dei singoli stati sbandierata da Apple c’entra solo in via collaterale, nella misura in cui si trasforma in uno strumento per creare favoritismi speciali a singoli operatori del mercato, alterando la parità delle loro condizioni di partenza. E quando è così la Commissione europea ha piena legittimazione per intervenire e ripristinare la parità di trattamento con le altre imprese.