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Come insegnano i grandi maestri del liberalismo, le concentrazioni di capitali, la riduzione degli spazi della concorrenza e l'uniformità dei prezzi sono indicatori di pericolo per la libertà del mercato e l'emersione di newcomers.

Un caso interessante, in questo senso, è quello in cui i produttori si fanno distributori tramite un processo d'integrazione verticale. Il problema sta diventando oramai trasversale a tutti i settori che prevedono alti livelli di specializzazione. Ciò perché le aziende produttrici di beni di elevata qualità e tecnologia tendono ad acquisire anche le società di distribuzione dei propri prodotti, mirando a diventare monopolisti del retail.

Questa dinamica può determinare un beneficio nel breve periodo, contribuendo al consolidamento e la stabilizzazione dei prezzi nel mercato di riferimento, ma nel lungo termine comporta una penalizzazione dalla varietà d'offerta ai consumatori. Inoltre, la riduzione della competizione tende a ridurre l' innovazione tecnologica dei prodotti a causa della posizione dominante di un player largamente maggioritario sul mercato.

Quando avvengono fusioni di questo tipo che rendono una singola società trasversale ai processi di mercato, produzione e distribuzione, vi è un generale incremento dell’efficienza nella catena supply-retail, a scapito però delle spinte competitive nel prezzo finale che generalmente favoriscono il consumatore. Ciò determina una riduzione della libertà di scelta tra i prodotti di una determinata scelta di prodotti per l'acquirente.

Contemporaneamente la concentrazione delle due attività, produzione e rivendita, nelle mani di uno stesso player rischia di diventare un potente nemico della libertà di mercato e dello sviluppo qualitativo dei prodotti. La minore spinta concorrenziale induce le imprese ad innovare i prodotti più lentamente, mantenendo in commercio più a lungo quelli di qualità media e con tecnologie ormai superate. Si origina così una vera e propria rendita di posizione causata dalla mancanza di stimoli concorrenziali, dove l’integrazione verticale di due settori riduce la propensione ad investire nella ricerca e nello sviluppo con conseguenze negative sull’utente finale.

La dinamica sopra descritta si sta ad esempio sviluppando nel mercato delle protesi uditive, ossia quegli strumenti tecnologici in grado di “farci sentire meglio”. In questo settore, Sonova, società svizzera che produce apparecchi acustici, ha infatti recentemente annunciato l’acquisizione di Audionova, uno dei maggiori retailer nel settore, controllato dal gruppo olandese Hal, per la cifra di 830 milioni di euro. Offerta che ha superato quella della concorrente Amplifon, determinando un processo di concentrazione di capitale, omogenizzazione dei prezzi e riduzione della varietà di scelta sul mercato.

Considerato che oggi 1 persona su 10 in Europa fa uso di apparecchi auditivi ed entro il 2025 gli analisti si aspettano un numero di fruitori intorno ai 90 milioni, la posizione di doppia leadership (produzione, distribuzione/vendita) acquisita da Sonova non è un segnale positivo per lo sviluppo del mercato, soprattutto per i consumatori. L’aumento esponenziale di questi ultimi determinerà maggiore domanda e maggiore qualità, ma possono forse essere garantite da un solo produttore-distributore che opera sul mercato?