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Gli studi liceali ci rammentano quanto sia stato importante, per i paesi europei, lo spostamento del centro geo-economico dal Mediterraneo all’Atlantico. I flussi commerciali si spostarono da sud-est verso sud-ovest. L’Italia perse il suo ruolo di centro logistico degli scambi tra Europa settentrionale e medio-oriente, mentre Inghilterra e Olanda divennero le nuove potenze commerciali.

Innovazione tecnologica, abbattimento dei costi di trasporto e accesso della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) hanno determinato, questa volta, uno spostamento del baricentro politico ed economico verso l’Asia. Il processo è stato avviato dalla  terza globalizzazione, caratterizzata dall’utilizzo di catene del valore globali (global value chains, GVC), di servizi ad alto valore aggiunto e dal coinvolgimento dei paesi emergenti soprattutto asiatici. Le GVC, che consentono alle multinazionali di effettuare arbitraggi regolamentari internazionali e di allocare in modo ottimale lavoro e capitale in funzione di come sono distribuite le abilità (skills) lavorative nel mondo, hanno dato l’occasione a paesi ai margini del processo di sviluppo di accedere ai mercati dei paesi sviluppati e di contribuire alla crescita mondiale. In tal modo, paesi emergenti sono divenuti rilevanti non solo per gli avanzi delle partite correnti accumulati, ma anche per le opportunità economiche offerte dai loro mercati interni alle imprese occidentali in cerca di consumatori affluenti e più sofisticati.

Ecco alcuni dati che possono dare un ordine della grandezza economica e demografica dei paesi verso cui si sta spostando la ricchezza e il potere contrattuale:

dati asia

Il potere di aprire i mercati domestici, abbassando le numerose barriere tariffarie e non, offre a questi paesi maggiore potere contrattuale, rafforzato dalle ingenti disponibilità finanziarie di cui dispongono, spesso investite in titoli di stato emessi dai paesi occidentali. Poiché le relazioni tra Stati sono determinate soprattutto dai rapporti di forza - alla base delle strenue negoziazioni effettuate per definire le regole a cui devono attenersi i paesi nelle relazioni internazionali, economiche e finanziarie - è strategico per l’Europa definire come si intende ottenere il consenso di questi paesi, sempre più importanti all’interno degli equilibri internazionali, intorno ai valori fondamentali che ispirano l’Unione: il rispetto dei diritti umani, della rule of law (stato di diritto), delle condizioni proprie dell’economia di mercato, della normativa contro l’abuso di potere di mercato (antitrust), del divieto degli aiuti di stato, principi che hanno reso possibile il periodo di prosperità di cui ha goduto l’Europa occidentale dopo la fine della seconda guerra mondiale.

L’apertura dei mercati dell’Unione potrebbe essere utile per negoziare con i paesi esterni all’area la condivisione dei nostri valori e ampliare, in tal modo, l’area geo-politica in cui questi principi sono rispettati. Tuttavia, giocare con le regole che l’Unione Europea si è data richiede notevoli sforzi non solo agli outsider, ma anche agli stati membri in quanto impone ai partecipanti al mercato sia aggiornamenti professionali, sia continui investimenti in capitale fisico e umano. Per vincere in un mondo in cui è possibile segmentare i processi produttivi sfruttando le GVC, le imprese necessitano di notevole flessibilità per collocarsi agli estremi delle catene: a monte, nella progettazione di prodotti innovativi e, a valle, nella commercializzazione di prodotti caratterizzati da brand di qualità elevata.

Anche per le imprese italiane partecipare a questa competizione richiede sforzi notevoli e un mutamento delle strutture del nostro sistema produttivo. Sono, infatti, necessarie dimensioni aziendali adeguate per presidiare i mercati internazionali e assorbire i costi fissi che questa attività comporta. Richiede la capacità di raccogliere soprattutto il capitale di rischio con cui effettuare la Ricerca & Sviluppo (R&D), attività troppo rischiosa per essere finanziata con capitale di debito. Impone, infine, di trovare sul mercato l’innovazione, spesso non prodotta in casa, ma necessaria per competere sul piano della qualità dei prodotti e non del loro prezzo, come avviene quando, per recuperare la perduta competitività internazionale, si effettuano il deprezzamento della valuta domestica o la deflazione salariale.

In questa strategia di competizione internazionale, è necessario contenere i costi di produzione limitando anche le dinamiche dei prezzi dei servizi domestici e dell’energia. Mentre spetta a un welfare efficace il compito di rendere flessibile il mercato del lavoro, favorendo una riallocazione veloce della manodopera divenuta di volta in volta ridondante. Programmi di riqualificazione professionale e massima mobilità all’interno dell’Unione sono gli strumenti che, limitando il più possibile gli shock economici negativi a cui vanno incontro i lavoratori, possono consentire alle imprese l’allocazione ottimale della forza lavoro.

Aspirare a un’Europa aperta che impegni i suoi membri e controparti commerciali esterne ad accettare gli elevati standard normativi della comunità a cui apparteniamo è estremamente ambizioso, ma fa parte del nostro DNA: il rispetto dei diritti umani, dello stato diritto e dell’economia di mercato sono frutto del nostro percorso culturale. Tuttavia, dobbiamo essere coscienti che far parte di un gruppo di paesi disposti a competere a queste condizioni implica strutture istituzionali e aziendali complesse e in continuo aggiornamento. Alcuni paesi (ad iniziare dalla Cina) potrebbero avere difficoltà a rispettare gli standard occidentali. Sta a noi decidere per quanto tempo siamo disponibili a giocare con loro in assenza di level playing field e di quanto gli standard da loro rispettati possano divergere dai nostri pur di favorire la trasformazione dei loro sistemi produttivi in economie di mercato.

E’, comunque, opportuno ricordare che il potere inclusivo di un modello di sviluppo dipende dalla probabilità di successo dei paesi che lo implementano: consentire il catch-up tecnologico, utile per abbreviare i tempi necessari per lo sviluppo di un paese, ha un appeal elevato. Mentre avere paesi, gruppi etnici o classi sociali che vincono sempre abbassa l’appetibilità del modello e spinge gli sconfitti a elaborare regole del gioco alternative.