eolico

L'evoluzione delle energie rinnovabili in Italia è fortemente legata alle varie politiche di incentivazione che si sono susseguite negli anni. Ricordiamo che “energia rinnovabile” per definizione non vuol dire “che non inquina”, ma semplicemente che la fonte da cui attinge è, nel nostro orizzonte temporale, inesauribile, o che può essere rigenerata allo stesso ritmo con cui è consumata. Se utilizzate in modo appropriato, le rinnovabili inquinano molto meno dell'equivalente fossile.

Energie rinnovabili sono quindi l'energia solare, eolica, idrica, geotermica, l'energia del mare e le biomasse. Da queste fonti, tramite opportune tecnologie, siamo capaci di ricavare energia elettrica e/o termica.

Un po' di storia

Prima che cominciassimo a preoccuparci del riscaldamento globale, o anche del semplice inquinamento locale, le energie rinnovabili potevano essere appetibili per le politiche energetiche dei vari paesi come alternativa economica a carbone, petrolio e gas. Qui in Italia, ad esempio, abbiamo da sempre sfruttato l'acqua, costruendo varie centrali idroelettriche che hanno trainato lo sviluppo industriale del nostro paese - affiancate, comunque, da centrali termiche alimentate da carbone, olio combustibile, petrolio e gas.

Dalla crisi energetica del 1973 in poi, tutta l'Europa si è sforzata di cercare nuove fonti di energia che permettessero di essere meno dipendenti da paesi stranieri. Gli obiettivi all'epoca, tuttavia, erano più l'indipendenza e l'economicità che il rispetto dell'ambiente. La Norvegia ha trovato grandi giacimenti di gas naturale nel Mare del Nord, alternativa locale al monopolio arabo del petrolio; altri paesi europei, privi di significative riserve di idrocarburi, hanno optato per il nucleare.

Nel '75 anche l'Italia, col suo primo Piano Energetico Nazionale, decise di costruire nuove centrali nucleari: all'epoca ne avevamo già tre attive ed una in costruzione (entrata in produzione nel '78). Tuttavia, le nuove centrali progettate non sono mai arrivate a produrre energia, in quanto i lavori di costruzione e pianificazione sono stati interrotti a seguito del referendum del 1987.

Nel '76, a tre anni dalla crisi energetica, fu emanata una prima legge sul risparmio energetico per gli edifici, e nell'82 arrivò la legge 308/82: “Norme sul contenimento dei consumi energetici, lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e l’esercizio di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi”. Ci eravamo resi conto che, non avendo grandi giacimenti di idrocarburi ed avendo rinunciato al nucleare, le strade per arrivare a dipendere meno dall'estero erano essenzialmente due: consumare meno energia e produrla con metodi alternativi.

Perché la legge aveva, tra i vari obiettivi, quello di "spingere" per lo sviluppo delle rinnovabili? Il motivo è molto semplice: non erano economicamente convenienti e non si sarebbero sviluppate da sole. L'idroelettrico aveva una sua convenienza, e infatti è stato ampiamente sfruttato, ma fotovoltaico, eolico, geotermico e biomasse erano tecnologie nuove, con alti costi di installazione e tempi lunghissimi per rientrare dell'investimento, talvolta più lunghi della vita stessa dell'impianto. Per favorire lo sviluppo di una tecnologia nuova lo Stato può fornire incentivi, spostando su di sé la “non convenienza” economica iniziale, in modo da invogliare gli imprenditori ad investire. In questo modo, nel breve termine, l'economia viene stimolata, il settore incentivato comincia a girare e, grazie alla concorrenza, le tecnologie migliorano. Se l'incentivo è ben pensato, si dovrebbe innescare un circolo virtuoso atto a rendere la nuova tecnologia, nel giro di alcuni anni, autonoma e conveniente.

La prima incentivazione vera delle energie rinnovabili a livello nazionale è iniziata nel '92, quando il Comitato Interministeriale Prezzi ha formulato la delibera CIP6/92, che assegna corrispettivi economici ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili ed assimilate. Da questo momento qualcosa comincia a muoversi e l'idea di installare impianti alimentati da FER (Fonti Energetiche Rinnovabili) non sembra più tanto utopica. Purtroppo la delibera CIP6 si è portata dietro anche la parola “assimilate” che ha consentito di ricevere incentivi anche a fonti poco rinnovabili come i rifiuti o il gas naturale (idrocarburo fossile), se usato in impianti a cogenerazione molto efficienti.

Oltre alla paura di rimanere senza benzina (di nuovo), lentamente è arrivata anche la consapevolezza dei danni ambientali legati all'utilizzo dei combustibili fossili. Negli anni ‘80 ci parlavano di inquinamento, piogge acide ed effetto serra. Negli anni '90 diventa ormai nozione diffusa, anche al di fuori della comunità scientifica, che l'effetto serra -il quale, peraltro, esiste da sempre ed è necessario alla vita sulla Terra- sta facendo alzare sempre di più la temperatura globale, a causa dell'aumento delle concentrazioni di alcuni gas in atmosfera. Nel 1997 è stato firmato il Protocollo di Kyoto e dal 2001 sono cominciate ad arrivare Direttive Europee per promuovere l'utilizzo delle fonti rinnovabili e il risparmio energetico.

Per quanto riguarda il fotovoltaico, tra il 2005 ed il 2013 si sono susseguiti cinque “Conti Energia”. Si tratta di programmi di incentivazione di tipo “Feed in Tariff”, ovvero un contributo finanziario concesso per 20 anni per ogni kWh di energia prodotta. La tariffa variava a seconda dell'ubicazione e tipologia dell'impianto (a terra, su tetto, integrato nell'edificio, innovativo, a concentrazione ecc...) e della sua dimensione, con ulteriori benefici nei casi in cui l'impianto andava a sostituirsi ad una copertura in amianto.

Le tariffe erano buone, molto buone, forse addirittura troppo buone. È partita subito la speculazione: in tutta Italia campi di carciofi e fianchi di colline si sono trasformati in campi di pannelli fotovoltaici. Molti degli impianti sorti in quegli anni hanno potenze nominali di 998 o 999 kW, perché il limite per le autorizzazioni facili è di 1 MW (1000 kW). Superata questa soglia le autorizzazioni diventavano più complicate e i tempi burocratici molto più lunghi; inoltre a impianti più piccoli erano concesse tariffe più ricche.

Le normative regionali ed il Conto Energia si sono evoluti velocemente in questi anni per far fronte a quello che stava succedendo. Hanno cercato di favorire impianti su edifici, pannelli prodotti in Italia, impianti piccoli a servizio di aree produttive, e cercato di mettere un freno a chi lastricava intere aree agricole con pannelli. Nel frattempo fondi di investimento e banche da tutto il mondo cercavano di accaparrarsi in fretta una fetta di incentivi, consapevoli che più tempo fosse passato, più i cordoni della borsa del Conto Energia si sarebbero stretti.

Per le altre fonti rinnovabili c’è stato il già citato CIP6 e poi i Certificati Verdi (CV) e la Tariffa Omnicomprensiva (TO).

La TO consiste semplicemente nella possibilità di vendere l’energia prodotta dall’impianto ad una tariffa molto vantaggiosa, ed è riservata ad impianti di dimensioni medio-piccole. I CV invece fanno parte di un meccanismo più complesso, che consente ai produttori "verdi" di ottenere un vantaggio economico a scapito dei produttori di energia da fonti non rinnovabili.

La situazione attuale

A chi autoconsuma l’energia prodotta è consentito di non pagare parte degli oneri di rete attraverso la qualifica SEU (Sistemi Efficienti di Utenza) o SEESEU (Sistemi Esistenti Equivalenti ai SEU). Si tratta di un piccolo sconto che aiuta chi vuole utilizzare le rinnovabili di piccola e media taglia, come una fabbrica col fotovoltaico sul tetto, in modo che questo abbia davvero degli impatti positivi sull'ambiente, al contrario degli ex campi di carciofi fotovoltaici.

È possibile realizzare anche impianti destinati ad autoconsumo non collegati alla rete elettrica, che automaticamente non dovrebbero pagare alcun onere di rete, non essendovi connessi. Al momento questa soluzione risulta però poco conveniente visto che i sistemi di accumulo non sono ancora ben sviluppati.

Il quadro normativo che riguarda l’incentivazione delle rinnovabili continua tuttora ad evolversi. Il “Conto Termico”, che dal 2012 regola gli incentivi su efficienza energetica e produzione di energia termica da rinnovabili (es. centrali a biomasse), presto verrà sostituito da una nuova versione. Il nuovo conto, pare, concederà incentivi per impianti fino a 2 MW e punterà maggiormente su solare termico e sugli interventi di efficientamento.

Per quanto riguarda l’incentivazione della produzione di energia elettrica, fotovoltaico escluso, essa è attualmente regolata dal DM 6 luglio 2012, che regola la concessione della TO, per piccoli impianti, e di un incentivo per gli impianti di dimensioni maggiori. Il fotovoltaico è in attesa di un nuovo piano di incentivi simile ai vecchi Conti Energia, che però tarda ad arrivare.

L'incentivazione del DM 6 luglio 2012 ha un meccanismo di accesso piuttosto complesso, bisogna letteralmente “fare la fila” per sperare di accedere all’incentivo, rispondendo a bandi pubblicati dal GSE e sperando di ottenere una posizione abbastanza alta nei registri. Solo un numero limitato di impianti, infatti, può ottenere l’incentivo. L’ultimo bando risale al 2014. Siamo in attesa di un nuovo decreto, che dovrebbe riguardare gli impianti entrati in produzione nel 2015 e 2016: il testo ha faticato a vedere la luce ed è attualmente all’analisi della Commissione Europea, con un notevole ritardo, e gli addetti del settore si chiedono se sia utile far uscire un decreto che sarà in vigore solo per pochi mesi.

Analizzando i dati Terna per il 2015 - ancora provvisori - si nota che la produzione di energia eolica ha perso il 3,3% dal 2014 e l’idroelettrico addirittura il 24,9%, mentre le altre rinnovabili mostrano segni positivi. Queste flessioni sono probabilmente dovute alle condizioni climatiche del 2015, tuttavia è improbabile aspettarsi una forte crescita del settore senza un quadro chiaro degli eventuali incentivi disponibili.

Le rinnovabili convengono?

Senza incentivi è economicamente conveniente per un investitore costruire un impianto a rinnovabili? Innanzitutto va detto che anche per alcune rinnovabili è arrivata la sindrome NIMBY.

Se il signor Rossi domani dovesse decidere di mettere il fotovoltaico sul tetto, difficilmente il vicino avrebbe di che lamentarsi, a meno che non si sia in un centro storico, ma se Rossi decidesse di investire in un parco eolico da alcuni MW sulle colline le cose cambierebbero. L'eolico a molti non piace, secondo alcuni rovina il paesaggio, indubbiamente fa rumore. Gli impianti più grandi hanno bisogno di passare per l'Autorizzazione Unica Regionale, con eventuale Valutazione di Impatto Ambientale.

La burocrazia regna sovrana e le comunità locali possono opporsi alla realizzazione di qualcosa che non vogliono (talvolta per motivi validi, talvolta per paura del nuovo e ignoranza, talvolta anche per malafede). Se un investitore serio deve mettere in conto i tempi della burocrazia ed il rischio del rifiuto, è facile che gli passi la voglia di investire. A queste condizioni, è facile che rimangano in gioco solo quegli investitori che tanto seri non sono, che sono disposti ad aggirare le difficoltà in maniera poco pulita, e che hanno bisogno impellente di costruire qualcosa per motivi che poco hanno a che fare con l'efficienza energetica.

Problemi simili all'eolico li stanno avendo anche gli impianti a biomasse, spesso accusati di essere dannosi come e più degli inceneritori di rifiuti, e la geotermia che viene ancora guardata con sospetto nonostante in Italia siamo abituati alla centrale di Larderello da più di 100 anni.

Ma allo stato attuale, anche ammesso e non concesso che vengano superate le difficoltà burocratiche, è economicamente conveniente costruire impianti a fonti rinnovabili?

Per poter confrontare le varie fonti, rinnovabili e non, bisogna tenere conto di quanto costa costruire l'impianto, quanto costa l'eventuale carburante, la sua gestione e manutenzione, gli ammortamenti, le tasse eccetera. Un indicatore che permette di tenere in considerazione tutti questi aspetti è il Levelized Cost of Electricity (LCOE); ossia il prezzo di vendita necessario - considerando l’energia generata da un impianto lungo la sua vita tecnica - per coprire tutti i costi relativi alla costruzione e all’esercizio dell’impianto stesso (oneri finanziari e tasse inclusi) e per ottenere un determinato ritorno sul capitale investito.

Se l'LCOE è più basso del prezzo di vendita dell'energia allora ci sarà un ritorno maggiore, viceversa se l'LCOE è più alto il ritorno sarà minore o nullo. Confrontando, nella tabella qui di seguito, l'LCOE con il prezzo medio dell'energia elettrica in Italia, si nota che che attualmente le fonti fossili sono ancora economicamente più convenienti delle rinnovabili, in quanto il loro LCOE è molto più basso.

Tabella 1 - Dati RSE da elaborazione su dati IEA 2009 e Eurostat 2012

Tabella Piccolo 1

 

L'LCOE mediamente più elevato delle fonti rinnovabili è dovuto in massima parte al costo di costruzione dell'impianto. Gli impianti a fonti fossili hanno, infatti, il vantaggio di poter contare su una tecnologia fortemente consolidata, che risulta in costi di installazione molto bassi, il che li porta ad essere economicamente convenienti anche se hanno costi di esercizio più elevati a causa della necessità di procurarsi il combustibile.

Una centrale termoelettrica raggiunge facilmente potenze installate di svariati MW nello spazio che occuperebbe un capannone industriale, mentre, poniamo, un impianto eolico necessita di molto più spazio per distribuire le varie turbine, che spesso, peraltro, sono in zone poco accessibili come boschi e crinali, ed è frequente che sia necessario costruire strade apposite o allargare alcune delle vie esistenti per poterle trasportare in loco. Il diametro delle turbine eoliche supera anche i 100 m e la loro altezza al mozzo è dello stesso ordine di grandezza, quindi in totale, da terra alla punta della pala, si parla di impianti alti circa 150-200 m. Ovviamente esiste anche il mini-eolico ad uso residenziale che è molto più piccolo, ma, se parliamo di centrali di produzione capaci di fare concorrenza alle centrali termoelettriche, allora i numeri e le grandezze sono quelli.

Tutto lo spazio e i problemi logistici relativi alla costruzione di un parco eolico ovviamente si traducono in costi maggiori da sostenere rispetto all'installazione della stessa potenza in una centrale termica. Discorso simile per il fotovoltaico: per ottenere una potenza notevole, paragonabile con quella di una centrale "tradizionale", bisogna lastricare di pannelli le zone agricole, rendendo necessario l'acquisto o l'affitto di grossi appezzamenti.

Il prezzo di vendita dell'energia si forma localmente. L'Italia è divisa in zone, e gli impianti di produzione che immettono energia elettrica in rete ricevono in cambio il prezzo che si è formato in quella zona specifica, in base a criteri di domanda e offerta. Per poter capire se un impianto è conveniente, dunque, oltre al suo LCOE è opportuno anche capire come varia mediamente il prezzo nella zona in cui esso opera. Dalla tabella si nota che il fotovoltaico, l'idroelettrico e le biomasse in alcune condizioni avrebbero LCOE ben più alto del prezzo dell'energia, risultando non convenienti.

Il fotovoltaico, ad esempio, mostra un LCOE molto alto e vario, da 150 a 329 €/MWh. Il valore è mediamente più elevato rispetto alle altre fonti, innanzitutto a causa di maggiori problemi tecnologici che vanno affrontati sia in costruzione sia durante la vita tecnica dell'impianto. Per spiegare la forte variabilità bisogna tenere in conto che la produzione di energia elettrica con impianti fotovoltaici dipende dall'insolazione.

Due impianti identici per potenza installata avrebbero una produzione elettrica annua attesa pari a 1.050 kWh/kWp a Milano e 1.400 a Messina. Inoltre gli impianti su tetto hanno installazioni più costose di quelli a terra, e sugli impianti piccoli pesano molto di più i costi fissi: si stima che un piccolo impianto da 3 kW può facilmente avere LCOE pari a 329 €/MWh, mentre un impianto costruito con pannelli di pari producibilità, ma potenza installata di 2000 kW avrà un LCOE pari a 150 €/Mwh.

Per quanto riguarda le biomasse, la variabilità dell'LCOE è dovuta al tipo di biomassa utilizzata: gli impianti a cippato hanno LCOE molto elevato, mentre quelli a biogas corrispondono alla parte bassa del range. L'eolico ed il geotermico presentano LCOE bassi e quasi competitivi con quelli delle centrali termiche a combustibili fossili, rendendo l'investimento possibile ed auspicabile.

Guardando al medio termine, si stima che i costi delle rinnovabili potrebbero scendere di un ulteriore 20-30% nei prossimi 15-20 anni, rendendole così più appetibili anche senza incentivi.

Che effetto hanno avuto le rinnovabili sull’Italia?

Dopo una decina d'anni di incentivazione “intensa” delle fonti rinnovabili il panorama energetico italiano è fortemente cambiato. Il nostro mix energetico è passato dal 18% di energia generata da fonti rinnovabili nel 2004 al 43% del 2014.

Grafico 1 - Produzione di energia elettrica per fonti 2004-2014 (Fonte: Elaborazione Aeegsi su dati di Terna)

Grafico Piccolo 1

Grafico 2 - Produzione di energia elettrica per fonti - 2014 (Fonte: Elaborazione Aeegsi su dati di Terna)

Grafico Piccolo 2

Siamo davvero pronti per passare alle rinnovabili?

Sono sorti problemi tecnici sulla rete a causa della forte produzione di energia eolica in Puglia, Calabria e Sicilia, lontano dai luoghi dove il fabbisogno energetico è più alto. Per far fronte a questi problemi è stata pianificata la costruzione di un nuovo elettrodotto tra Calabria e Sicilia [naturalmente osteggiato dall'eterno fronte del NIMBY, NdR] e di nuove linee dell'alta tensione ad interconnettere varie parti d'Italia.

Alcuni impianti a fonti rinnovabili, è noto, non possono garantire una produzione stabile e continua. L'eolico ed il fotovoltaico, ad esempio, sono fortemente legati al clima, producendo più o meno energia a seconda delle condizioni atmosferiche. Anche questo ha messo a dura prova la nostra rete elettrica nazionale. Normalmente, per garantire che in ogni momento ci sia la giusta quantità di energia in rete, sono attive alcune centrali termiche, alimentate da combustibili fossili e molto poco modulabili, che formano il base load del nostro mix energetico.

A richiesta, nelle ore di picco, vengono accese altre centrali di tipo più modulabile, che garantiscono ci sia abbastanza energia per tutti. In questo sistema si sono inseriti quasi improvvisamente il fotovoltaico e l’eolico, con la loro produzione variabile e poco prevedibile. Nei giorni soleggiati e ventosi la produzione da rinnovabili può arrivare a sovrapporsi al base load da fonti termiche, creando problemi al bilanciamento della rete. Questo ha portato a nuove regole per i produttori discontinui, che dovranno limitare i loro apporti in rete per evitarne lo sbilanciamento.

Ciò dimostra che il nostro sistema non è ancora tecnologicamente pronto a liberarsi, da un giorno all'altro, del base load termico, perché ci è più facile prendere meno energia dalle rinnovabili che spegnere le grandi centrali termoelettriche. Quando il base load sarà formato da biomasse, geotermico e grande idroelettrico potremmo considerarci un paese verde, ma la strada è ancora lunga.

Per poter avere un apporto sempre maggiore di energia rinnovabile nel nostro mix energetico sarà necessario un cambiamento tecnologico, ovvero l'adeguamento della rete esistente al nuovo modo di generare energia, diffuso e spesso discontinuo. In questa ottica andranno sviluppati i sistemi di accumulo e potenziate e migliorate non solo le già citate linee in Alta Tensione, ma anche quelle in Media e Bassa, sviluppando quella che in gergo si chiama “Smart Grid”, ovvero una rete di distribuzione di energia elettrica resa intelligente grazie a sensori e meccanismi di auto-regolazione.

Oltre al cambiamento tecnologico, verso cui ci stiamo comunque avviando, sarà necessario un cambiamento culturale: c'è bisogno di una presa di coscienza sempre maggiore sulla necessità che abbiamo di distaccarci dalle fonti fossili sia per motivi ambientali che per ridurre la nostra dipendenza dall'estero. L'esplosione del fotovoltaico grazie al Conto Energia ha ingrassato molti portafogli, ma non ha cambiato il modo di pensare della maggior parte degli imprenditori, per i quali investire in fotovoltaico incentivato era un modo come un altro di fare soldi, non una scelta “green” dovuta a motivazioni ecologiche.

Con la sola logica del profitto, peraltro dovuto a incentivi mal distribuiti e non a una maggiore efficienza, e con un'opinione pubblica ecologista a parole, che però nei fatti guarda male alle pale eoliche, al geotermico e agli impianti a biomassa, le rinnovabili rischiano di frenare bruscamente il loro sviluppo in Italia.