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Sono molto frequenti le decisioni di uno Stato o di un insieme di Stati (ad esempio l’Unione europea o le Nazioni Unite) che possono avere un impatto anche su Stati terzi. Si pensi ad esempio a uno Stato che deve decidere se concludere o meno un trattato commerciale con un altro Paese, oppure a uno che deve prendere una posizione in merito a un embargo o a sanzioni, a una condanna per violazione dei diritti umani o ancora all’elaborazione della propria politica estera o energetica.

I Paesi che sono toccati da tali decisioni cercheranno in tutti i modi di influenzarne l’esito in modo da difendere e tutelare i propri interessi nazionali, rappresentando in maniera efficace la propria visione presso i decisori chiave. In passato tale attività veniva svolta prevalentemente dalle ambasciate, ma oggi il loro ruolo, seppur sempre molto importante, non è più in grado di sopperire a tutte le necessità e le complessità tecniche che le sedi diplomatiche si trovano a dover affrontare. In particolare è necessario che i Paesi terzi siano costantemente aggiornati sullo stato del dibattito, soprattutto a livello tecnico e che abbiano una comprensione della mappa degli stakeholder di riferimento e la possibilità di un rapido accesso, che vada al di là dei formalismi che la diplomazia prevede.

Per superare tali difficoltà e per rispondere a tali sfide, la tendenza in atto ormai da alcuni anni è quella di assumere società di lobbying operanti nella Nazione verso il quale l’attività è diretta. In questo modo è possibile contare su esperti che conoscono perfettamente le dinamiche politiche e sono in grado di andare dritti al nocciolo della questione, cosa che i diplomatici, in quanto stranieri e spesso generalisti, non saranno mai in grado di fare con la stessa efficacia.

Washington e Brussels, in virtù del loro poter decisionale, rappresentano i centri principali verso cui sono dirette le azioni di lobbying, mentre chi utilizza maggiormente società di lobbying, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non sono solo Paesi con problemi di immagine o Stati che non possono contare su ingenti risorse finanziare per mantenere pesanti strutture diplomatiche, ma anche Paesi perfettamente democratici ed addirittura del G8 che su questioni specifiche preferiscono farsi rappresentare da intermediari nazionali.

Alcuni esempi, presi da analisi di alcune organizzazioni indipendenti come Sunligth Foundation aiutano a farsi un’idea del fenomeno. Quasi tutti i paesi esistenti al mondo (tranne poche eccezioni) hanno assunto lobbisti negli USA per aumentare la loro influenza e per cercare di incidere sui temi più svariati. Si va dai Paesi del Sud Est Asiatico (Giappone, Vietnam e Corea del Sud, Indonesia) che hanno assunto lobbisti per ricevere supporto per il raggiungimento di accordi commerciali, ad altri come la Turchia che hanno fatto pressione per impedire il riconoscimento del genocidio armeno, o alla Russia sulle questioni energetiche, a quelli del Medio Oriente, che risultano essere i top spenders con cifre di svariati milioni di dollari per influenzare la politica estera americana. Non vanno infine dimenticati anche paesi africani, soprattutto dell’Asia Centrale e Africani, che investono in attività di public affairs soprattutto per migliorare l’immagine della propria leadership.

Anche Brussels in virtù dell’aumento del proprio potere decisionale, sta diventando una sede verso la quale gli Stati extraeuropei, al pari delle grandi aziende, hanno compreso la necessità di aumentare la propria presenza, assumendo lobbisti. Tra i principali Stati che hanno assunto lobbisti su Brussels, serve poca immaginazione, basta guardare alle grandi questioni di politica estera, la parte del leone viene svolta dalla Russia che cerca di influenzare le istituzioni comunitarie sui grandi temi energetici (si pensi solo alle implicazioni del passaggio di un gasdotto su di un tracciato piuttosto che su un altro) o sui temi di politica estera sui quali l’Unione europea deve dibattere (ad esempio atteggiamento da tenere nei confronti dell’Ucraina). Ma anche altri Stati come Ucraina o Georgia pagano lobbisti a Brussels per sostenere posizioni opposte a quelle russe. Inoltre ormai come a Washington anche gli Stati Africani e quelli dell’Asia centrale stanno investendo per essere maggiormente rappresentati a Brussels.

Negli Stati Uniti, tale attività è regolata da norme risalenti al 1938, approvate per paura della propaganda nazista, che impongono la registrazione dei soggetti che svolgono attività per conto di Stati stranieri. Tuttavia in questo caso sarebbe auspicabile una maggiore trasparenza in quanto spesso le registrazioni sono tardive e non spiegano in dettaglio che tipo di attività viene svolta e verso quali Istituzioni. Per quanto riguarda la legislazione comunitaria è sufficiente l’iscrizione obbligatoria dei soggetti che rappresentano lo Stato terzo al registro della trasparenza. In ogni caso la tendenza in atto conferma che gli Stati adottano delle decisioni politiche di cornice attraverso le strutture governative e poi in qualche modo esternalizzano il servizio diplomatico.