apple napoli

Apple ha deciso di localizzare in Italia un importante centro per lo sviluppo di applicazioni su sistemi operativi e dispositivi mobili. Aprirà a Napoli e a quanto pare sarà il primo centro di questo genere in tutta Europa. Potrà occupare e formare 600 unità di personale altamente specializzato. Le ricadute potenziali sul territorio sono più che positive. Ottima notizia.

Fino a poco tempo fa, però, l'azienda di Cupertino era nel mirino dell'Agenzia delle Entrate. E se ne parlava in tutt'altri termini: il fisco le contestava imposte non versate per quasi 900 milioni di euro, riguardanti gli anni dal 2008 al 2014. A quanto pare, avrebbe conseguito ricavi di vendita, per quasi 10 miliardi di euro da noi e nel resto d'Europa, facendo perno su una “stabile organizzazione” situata in Italia e non nota all'amministrazione finanziaria. Alla fine l'azienda se l'è cavata versando poco meno di 320 milioni di euro e chiudendo il contenzioso con una transazione. Non ci sono dichiarazioni ufficiali in tal senso. Ma è del tutto verosimile che i due eventi siano collegati tra loro: un atteggiamento troppo intransigente da parte del fisco avrebbe potuto far sfumare l'opportunità dell'investimento Apple in Italia.

Se la transazione con il fisco italiano e l'investimento a Napoli fossero veramente il risultato di un accordo sarebbe un fatto positivo. L'accordo, economicamente, sarebbe stato comunque vantaggioso. Non ci sono dubbi. Ai tanti “moralisti fiscali” che hanno dipinto la vicenda come una sorta di capitolazione per l'Italia, a quelli che “ci siamo venduti per una ciotolina di riso”, bisognerebbe ricordare che incassare i quasi 900 milioni di euro per intero probabilmente avrebbe richiesto un contenzioso dai tempi lunghi e dall'esito incerto. In Italia, un contenzioso tributario viene vinto metà delle volte dal'amministrazione finanziaria, l'altra metà dal contribuente. Lo dicono le statistiche. Lascio immaginare dentro quale metà sarebbe potuto facilmente finire il contenzioso di un contribuente che si chiama Apple. Chiudere a più di un terzo della cifra senza faticare troppo e senza rischiare, alla fine è stata la soluzione più conveniente soprattutto per le casse dello stato italiano. E questo a prescindere dall'investimento fatto da Apple.

Peraltro la vicenda suscita anche considerazioni di carattere più generale. Gli accordi tra uno Stato e una multinazionale, in merito a sconti fiscali in cambio di insediamenti produttivi, non dovrebbero essere considerati “deprecabili a prescindere”. E non solo nel senso che “una tantum” possono tornare utili per attrarre investimenti interessanti. Ma anche e soprattutto perché un loro utilizzo sistematico e trasparente in realtà potrebbe andare a vantaggio di tutti: dei contribuenti e delle imprese che fanno investimenti produttivi, innescherebbe un processo di concorrenza fiscale tra gli Stati, e sarebbe un sistema efficacissimo per affamare la bestia. Gli apparati burocratici nazionali, in concorrenza tra loro, sarebbero costretti a dimagrire e a ridurre finalmente il carico fiscale a favore dell'economia produttiva. Probabilmente è proprio per questo che la concorrenza fiscale fa così paura alle burocrazie statali di tutta Europa.

Per decenni le regole europee, in particolare quelle sul divieto di aiuti di stato e quelle sull'armonizzazione dei sistemi fiscali, hanno seguito una impostazione esattamente opposta alla concorrenza fiscale tra gli stati. L'impostazione delle norme europee trova la sua principale giustificazione nella tutela della concorrenza e nella formazione del mercato unico. Ma non si dovrebbe dimenticare che nel contempo ha completamente azzerato ogni forma di concorrenza fiscale. Il risultato, di fatto, è una sorta di cartello tra le burocrazie statali, le quali possono tranquillamente fare leva sul gettito fiscale e aumentare la spesa pubblica senza timore di pestarsi i piedi l'una con l'altra. Un cartello che si è rivelato dannoso tanto quanto può esserlo un cartello tra grandi imprese private.

Contro i cartelli tra privati c'è l'antitrust. E contro i cartelli tra le burocrazie chi c'è? Nessuno, e finché sarà così, a fianco del grande mercato unico continuerà a crescere anche il grande leviatano fiscale unico.

Non sappiamo se c'è stato veramente un accordo, tacito o esplicito, tra l'azienda di Cupertino e lo Stato italiano per l'investimento a Napoli in cambio di una transazione sul contenzioso fiscale. Ma un tale accordo sarebbe comunque stato un buon accordo per il nostro paese. In ogni caso, sarebbe utile che l'intera vicenda facesse riflettere chi di dovere sui vantaggi che si potrebbero avere con qualche pillola in più di concorrenza fiscale tra gli stati.