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Non è facile rispondere alla domanda che si è fatto Luigi Zingales alcuni giorni fa a proposito degli obbligazionisti delle quattro banche dell’Italia Centrale salvate dal fallimento: “di chi è la responsabilità se gli obbligazionisti sono stati truffati?”. Non è facile perché è una domanda che nasce come conseguenza della risposta affermativa ad un’altra domanda, forse ancora più complessa: “quegli obbligazionisti sono stati truffati?”

Tutti noi siamo a conoscenza del fatto che dietro agli sportelli delle banche spesso il cassiere si maschera da piazzista di prodotti finanziari dell’istituto per il quale lavora, quasi come quei venditori di assicurazioni porta a porta che in qualche caso hanno finito la loro carriera inseguiti da folle inferocite, cambiando residenza e luogo di lavoro. E sappiamo anche come il rapporto di questi impiegati con i piccoli risparmiatori sia un rapporto di vera e propria fiducia, fortemente asimmetrico, come quello tra medico e paziente: il risparmiatore affida al consulente i propri risparmi quotidiani, il frutto del lavoro di una vita, sulla base di una fiducia che non ha alternative: “se non mi fido di lui, di chi mi posso fidare? Da chi posso andare?”.

Quindi a maggior ragione aver venduto come sicuri, sulla base del classico “cosa vuole che succeda?” prodotti a rischio ad una vasta platea di piccoli risparmiatori, è l’aggravante di una truffa, ed è giusto augurarsi che qualcuno ne risponda. Oggi, poi, a complicare le cose, veniamo a sapere che su 2800 dipendenti di Banca Marche, 2200 avevano sottoscritto azioni o obbligazioni subordinate della banca per cui lavoravano. Truffatori truffati a loro volta? Oppure il sintomo di una profonda e diffusa ignoranza su come si investe il risparmio, tanto diffusa e tanto profonda da non lasciare immuni neanche gli addetti ai lavori?

E’ una situazione complessa, come si vede, che naturalmente non può essere risolta con un rimborso generalizzato - a spese di chi? - dando per scontato che tutti siano stati truffati. Qualcuno è stato truffato, probabilmente. Qualcun altro era consapevole del rischio, o ha ricevuto tutte le informazioni adeguate. E anche l’idea di impedire la vendita ai privati di questo tipo di prodotti finanziari sembra essere inutilmente vessatoria e liberticida: stiamo parlando di semplici azioni o obbligazioni subordinate, non di complessi derivati. Non è tanto nel tipo di prodotto, il problema, quanto casomai nella mancanza di diversificazione, nell'assenza di sufficienti informazioni ai risparmiatori e nella sottostima del rischio dell'istituto emittente.

In questa situazione ci sono due capisaldi del libero mercato che sembrano essere in contrapposizione tra loro: da una parte il principio di responsabilità, secondo il quale ognuno è individualmente responsabile dei propri investimenti, e non può far pagare ad altri il costo di quelli sbagliati, dall’altra la protezione degli investimenti stessi, in assenza della quale nessuno investirebbe del denaro. Luigi Zingales elenca una serie di responsabili o corresponsabili, dall’impiegato al banchiere agli organi di controllo, come Banca d’Italia e Consob. Il problema è che per risalire, caso per caso, questa catena di responsabilità, servirebbe una giustizia civile che funzioni. Invece tra i drammi che vive oggi un pensionato che ha visto svanire i suoi risparmi c’è la consapevolezza di non essere certo di vivere abbastanza a lungo per vedere la fine del processo che potrebbe intentare contro chi ritiene responsabile della sua rovina.

E’ qui che in Italia si blocca tutto, nella lentezza e nell’inefficienza della giustizia civile, che vanifica l’efficacia di qualsiasi norma a tutela della parte debole in qualsiasi forma di contrattazione, comprese quelle norme che ancora non ci sono e che potrebbero esserci, come l’obbligo del dovere fiduciario del consulente finanziario di agire nell’interesse del cliente, che auspica Zingales. Sarebbe un giudice a dovere stabilire che quell’obbligo è stato o meno violato, e per farlo impiegherebbe un tempo incompatibile con qualsiasi esigenza di giustizia.

E’ per questa ragione che la tentazione di “buttarla in politica” è così forte: perché non è facile percorrere la via del diritto, l’unica che assicurerebbe una protezione adeguata agli investimenti senza pregiudicare, ma anzi rafforzandolo, il principio di responsabilità.