expomilano

Expo 2015 ha mostrato vizi e virtù dell'Italia. Per alcuni anni, prima dell'inaugurazione della manifestazione milanese in salsa globale, di Expo abbiamo letto gli scandali e le inchieste, lo scetticismo razionale e quello irrazionale. Vizi diversi, ovviamente, ma tutti legati da un filo comune denominatore: la paura di un'Italia depressa da anni di stagnazione prima e di recessione dopo di non saper più organizzare eventi per milioni di visitatori. I mariuoli che hanno provato a rubare le briciole della torta di Expo hanno fatto giustamente notizia, ma certa stampa ha preferito raccontare che Expo "era" la causa della corruzione e non un evento da proteggere e salvaguardare dai fenomeni criminali. Più noi parlavamo male di Expo e di noi stessi, più altri Paesi dubitavano di Expo e riducevano la portata dei loro investimenti. Alla fine, viste le premesse, è un miracolo aver attratto più di un miliardo di euro di investimenti stranieri, quasi 22 milioni di visitatori, di cui 6,5 milioni stranieri (il 30 per cento).

C'è da fare un appunto, ovviamente. Sull'evento e sul grande tema dell'alimentazione e del futuro, ha purtroppo gravato un'ipocrisia con cui facciamo spesso i conti: la retorica del kilometro zero e del cipollotto nostrano usata in contrapposizione e non in cooperazione alle sfide della biotecnologia e della scienza al servizio del cibo. La scelta di una Expo "ogm free" - illusione europea, non solo italiana - ha tenuto per molto tempo in dubbio la partecipazione degli Stati Uniti e ha dissuaso realtà come Australia e Canada dal partecipare. Ma la realtà, per fortuna, ha prevalso sulle paure e sulle illusioni. Per sei mesi Expo non è stata solo file ai padiglioni, ristoranti e spettacoli, ma anche innumerevoli dibattiti, incontri a tema ed eventi laterali, dei quali non sempre si sono occupati i grandi media e i milioni di opinionisti Facebook. Per quanto Coldiretti e altri retori del cipollotto ci abbiano provato, Expo non è stata il trionfo del "biologico" contro le cattive multinazionali, banalmente perché parlare del futuro dell'alimentazione del pianeta sprizza tecnologia, mercato e globalità da tutti i pori.

Si dice: è stata una mega-sagra. Rispondo che quando parli a molti milioni di persone, miri a messaggi semplici ed efficaci: Expo ha detto a tanti che il mondo è un posto variegato da scoprire, che non bisogna aver paura della globalizzazione (o della mela polacca, che tappezzava i bus di Milano), che l'Italia può e deve credibilmente candidarsi ad essere un paese leader della sfida alimentare del XXI secolo in termini di qualità e innovazione. Si analizzeranno dati e microdati di Expo, i biglietti venduti, i costi e i ricavi. Expo ha reso meno di quanto è costata? 

Qualsiasi imprenditore sa che esposizioni, fiere, eventi sono un investimento, occasioni per promuovere e incontrare, non momenti di guadagno. Poteva andare meglio? Se ci avessimo creduto di più, sarebbe andata decisamente meglio. Ma è andata bene, perché l'Italia ha dimostrato a se stessa, ai governi stranieri e a milioni di visitatori internazionali di essere sì un Paese dal grande passato, ma di voler avere un grande futuro, a partire dal suo innegabile primato nel "food".

Per Milano e per l'Italia, Expo è stata uno specchio: la città si è guardata e ha capito di essere bella, attraente e funzionante. Ai tanti italiani che hanno passeggiato sul decumano e sul cardo, Expo ha trasmesso positività e fiducia. L'Italia ne ha bisogno, per scrollarsi di dosso il disfattismo di cui si è ammalata negli anni della Grande Recessione: i nostri vizi ci sembrano enormi, e lo sono; ma le nostre virtù, i nostri talenti e le nostre speranze, lo sono altrettanto.