I primissimi dati forniti dall'INPS sul bonus assunzioni introdotto a giugno parlano di 14 mila richieste presentate nel mese di ottobre. Questo risultato è una delusione per chi immaginava l'esaurimento di tutti i fondi disponibili per il 2013 in un giorno solo (il cosiddetto click-day del 1 ottobre), ed offre un facile pretesto a chi vuole criticare l'azione del governo, che forse aveva speso toni un po' troppo trionfalistici quando varò il provvedimento.

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Il governo ribatte alle critiche sostenendo da un lato che la partenza un po' fiacca dipende dalla grave crisi del mercato del lavoro, talmente grave che è difficile, anche con un incentivo cospicuo, convincere le imprese ad aumentare l'occupazione. Come dire che “si può portare il cavallo all'acqua ma non si può costringerlo a bere”. Dall'altro lato, tuttavia, il governo ribadisce che questi primi risultati sono in linea con l'obiettivo fissato: raggiungere una platea di 100 mila beneficiari entro il termine fissato dagli stanziamenti di bilancio, il 2016.

In effetti, se si tiene conto delle stime prudenziali presentate nelle audizioni parlamentari sia dalla Banca d'Italia sia dal Servizio Bilancio del Senato, i conti del governo sono sostanzialmente azzeccati. Le risorse disponibili dovrebbero consentire la copertura di almeno 30 mila soggetti all'anno (per tre anni più l'ultimo scorcio del 2013), e se le cose procederanno a questo ritmo, diciamo 5 mila richieste al mese, i circa 800 milioni di euro disponibili fino a tutto il 2016 si esauriranno anche prima della fine. Ma questo obiettivo, formulato dal governo esclusivamente in termini di grado di utilizzo delle risorse stanziate, è fuorviante. Il cuore del problema non è se riusciamo o meno a raggiungere le 100 mila richieste di bonus, ma se stiamo utilizzando in modo efficace le risorse pubbliche oppure se le stiamo sprecando inutilmente.

Una misura di incentivo può dirsi efficace se è decisiva per convincere l'impresa ad assumere il lavoratore oppure a fare l'investimento. Non può dirsi efficace, invece, quando a usufruirne è un impresa che in realtà avrebbe assunto in ogni caso quel lavoratore, oppure fatto quell'investimento, anche senza l'aiuto pubblico. In questo secondo caso sarebbe più opportuno parlare di sussidio incondizionato e non di incentivo. È superfluo sottolineare che in questo secondo caso siamo di fronte a uno spreco inutile di denaro pubblico.Tornando all'esempio del cavallo portato all'acqua, non ha solo importanza se beve oppure no, ma se beve perché ha sete oppure perché gli va semplicemente di sciacquarsi i denti. Quindi, la domanda non è tanto se raggiungeremo o meno l'obiettivo delle 100 mila richieste di bonus. La vera domanda è: il bonus occupazione varato dal governo è un incentivo oppure un sussidio?

Purtroppo, se sono corrette le informazioni diffuse dalla stampa, oltre 8 mila delle 14 mila richieste si riferiscono a contratti di lavoro siglati prima che il provvedimento diventasse operativo, nei mesi di agosto e settembre. Ed è molto probabile che tali assunzioni siano state decise dalle imprese indipendentemente dalla possibilità di accedere al bonus. Se le cose stanno così, alle 8 mila richieste in questione abbiamo dato un sussidio, non un incentivo.

Basta uno sguardo ai dati sulla dinamica tipica del mercato del lavoro per rendersi conto che ogni anno, a parità di livello di occupazione, le attivazioni di nuovi rapporti di lavoro sono oltre 10 milioni, che ovviamente fanno da contropartita a un numero più o meno equivalente di cessazioni. È un processo di creazione e distruzione di posti di lavoro che è sempre in atto, anche quando il livello medio di occupazione è fermo. Se si restringe il campo ai contratti a tempo indeterminato che interessano giovani con meno di 30 anni di età e in possesso di almeno uno dei requisiti richiesti per l'accesso al bonus (senza occupazione retribuita da almeno sei mesi, senza diploma di scuola superiore, singolo con minori a carico), si ottiene che ogni anno circa 150 mila soggetti in possesso dei requisiti per il bonus sono già assunti normalmente, cioè senza alcun bisogno di incentivo. In queste condizioni è molto probabile che la gran parte dei bonus disponibili vadano ad assunzioni che sarebbero in ogni caso avvenute, con o senza incentivo. Peraltro, anche il Servizio Bilancio del Senato, nel dossier che accompagnava il provvedimento, metteva in guardia proprio dal cosiddetto effetto “peso morto” dovuto al fatto che il numero di 30 mila potenziali beneficiari è un sottoinsieme della platea di infra-trentenni ordinariamente assunti ogni anno.

Se le cose stanno così i bonus concessi saranno in gran parte sussidi e non incentivi, con tutte le considerazioni del caso riguardo alla dispersione delle risorse finanziarie pubbliche. Poco importa, dunque, se l'obiettivo dei 100 mila sarà raggiunto o meno. Oltre la polemica politica, il tema sul quale bisogna concentrare l'attenzione è sempre lo stesso: l'opportunità e l'efficacia degli incentivi pubblici e l'utilizzo efficace del denaro dei contribuenti.