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Dati e informazioni statistiche vengono spesso utilizzati impropriamente e interpretati in modo non corretto come indicatori della congiuntura economica. Per esempio il ministero del lavoro, più volte negli ultimi mesi, ha manifestato un ottimismo esagerato sulle prospettive occupazionali, facendosi trarre in inganno (diciamo pure così) dai dati INPS riguardanti le comunicazioni obbligatorie sui contratti di lavoro.

I dati sulle comunicazioni obbligatorie, raccolti per ragioni amministrative e burocratiche, non sono un indicatore affidabile sullo stato del mercato del lavoro. Come era plausibile che accadesse, l'ottimismo del ministro è stato gelato dai dati ufficiali dell'ISTAT, secondo i quali la disoccupazione non scende affatto. Che dire? Sarebbe bene che ciascuno facesse il proprio mestiere. Ma purtroppo anche il marketing politico è un mestiere, un mestiere che ormai ha preso l'abitudine di fabbricare ottimismo usando proprio numeri e dati statistici.

Nei giorni scorsi, un altro dato INPS ha fatto notizia: la riduzione delle ore autorizzate di cassa integrazione guadagni (CIG). Anche stavolta, puntualmente, è stato presentato come l'anticamera della ripresa. Il segnale di una svolta imminente sull'occupazione. La riduzione delle ore di CIG, se confermata nei prossimi mesi, sarebbe un segnale senza dubbio positivo. Soprattutto la CIG straordinaria dal 2009 ha prodotto una spesa aggiuntiva di circa 5 miliardi di euro all'anno rispetto al 2008. Se non altro, quindi, sarebbe un segnale positivo almeno per le casse pubbliche. Però, forzare ancora una volta la lettura del dato in chiave troppo ottimistica, vendere un'altra “svolta dietro l'angolo” per l'occupazione, sarebbe l'ennesimo errore.

Il nuovo dato INPS dovrebbe fare riflettere, al contrario, sui tempi lunghi che ci separano da una vera ripresa dell'occupazione e una stabile riduzione del tasso di disoccupazione. Sappiamo tutti che prima di veder ripartire il dato ufficiale sull'occupazione l'economia dovrà riassorbire gran parte delle ore di cassa integrazione. Questa non è una novità, bensì una costante del ciclo economico. Una comunicazione politica responsabile dovrebbe tenerne conto, considerato che questa volta ci sarà parecchio da aspettare. Molto più che in passato. I livelli raggiunti dalla CIG con la grande crisi sono a dir poco stratosferici. Nei dieci anni precedenti la crisi le ore complessive annue di CIG si attestavano su 200 milioni circa. Nel 2009 erano già oltre 900 milioni. Nel 2010 erano salite a un miliardo e 200 milioni per poi restare sopra il miliardo fino all'anno scorso. Si tratta di livelli mai toccati prima d'ora. Il record degli ultimi trentacinque anni risale al 1984 con 800 milioni di ore circa. Ce n'è di strada da fare prima di cominciare a intaccare quel 12,7 per cento ufficiale di disoccupazione.

In fondo, da altra prospettiva, la CIG cos'è se non un serbatoio occulto di disoccupazione? I lavoratori in CIG formalmente non sono stati licenziati dalle imprese e il loro posto è tenuto in vita artificialmente dai soldi dei contribuenti. Ma si tratta a tutti gli effetti di disoccupati non conteggiati dalle statistiche. Nel primo semestre del 2015 sono stati in media oltre 300 mila. A tanto ammonta, infatti, il numero dei cassintegrati equivalenti a “zero ore”. Se lo sommassimo ai disoccupati ufficiali, dovremmo aggiungere un altro punto all'attuale tasso di disoccupazione, che diventerebbe 13,7 per cento.

Ma la questione non finisce qua. Negli anni della crisi il numero medio annuo di ore lavorate per occupato si è ridotto parecchio. Fino ai primi anni 2000 ogni occupato lavorava oltre 1.900 ore all'anno. Nel 2007 il dato era ancora di poco superiore alle 1.800 ore l'anno. Attualmente si colloca intorno alle 1.750 ore. Anche questo è un fenomeno tipico delle fasi di recessione. Il monte ore lavorate complessive annue, dunque, è diminuito molto più di quanto sono cresciute le ore di CIG. Si tratta di circa 3 miliardi e mezzo di ore lavorate in meno. Oltre il doppio di quelle di CIG.

Tradotto in soldoni, significa che prima di veder crescere il numero ufficiale degli occupati bisogna aspettare non solo che l'economia riassorba altri 300 mila disoccupati occulti in CIG, ma anche quelli nascosti dietro la riduzione delle ore lavorate pro-capite. Non voglio dire che dovremo tornare alle ore lavorate dei primi anni 2000. Quanto meno, però, mi aspetterei di tornare al livello pre-crisi. Il che si traduce in altri 400 mila disoccupati occulti da riassorbire. In poche parole è come se attualmente il vero tasso di disoccupazione in Italia fosse all'incirca del 15 per cento! Ecco allora come siamo messi. È da quel 15 per cento che bisogna cominciare a scendere. Prima di arrivare a intaccare il 12,7 per cento ufficiale ci sono altri 2,3 punti da riassorbire.

E per finire c'è un altro folto gruppo di disoccupati che si nascondono tra gli inattivi. Si tratta dei cosiddetti “scoraggiati”, che per ora hanno smesso di cercare attivamente un impiego. Ma che torneranno a farsi vivi non appena ne avranno l'opportunità. Usciranno dall'ombra e passeranno direttamente dalle fila degli inattivi a quelle degli occupati senza contribuire alla riduzione del tasso di disoccupazione.

Insomma, il paradiso non è proprio dietro l'angolo, e la via verso la crescita dell'occupazione è lunga. E ancora più lunga è quella verso la riduzione del tasso di disoccupazione. Il dato sulla riduzione della CIG è positivo, ma è meglio non specularci troppo sopra. Forse non ha tutti i torti il Fondo monetario internazionale, quando dice che per tornare ai livelli precedenti la crisi l'Italia impiegherà altri venti anni.