logo editorialeIl nuovo quadro macroeconomico pubblicato nell'autumn forecast della Commissione europea conferma il peggioramento in tutta l'area dell'euro. Il dettaglio più interessante della nuova previsione è che anche l'economia tedesca questa volta è interessata da un sensibile rallentamento.

Come da copione, verrebbe da dire: è proprio su quest'ultimo aspetto che si sono soffermati di più i media e i commentatori. Trascurando il quadro complessivo, sottolineano solo la revisione al ribasso della crescita tedesca e il rallentamento dell'inflazione nel 2015. Alla luce di questi due dati c'è chi si affretta a concludere che il problema dell'area euro non sono più (soltanto) i paesi periferici indebitati, incapaci di fare le riforme strutturali e con le economie stagnanti. Che il problema ora è l'intera economia europea. Che a causa del rigore finanziario miope, l'Europa non è più a due velocità, ma è ormai un unico convoglio compatto che arranca. Guidato da una Germania sempre più inguaiata.

In altri termini, secondo l'interpretazione prevalente, i tedeschi sarebbero caduti nella trappola dell'austerità che si sono costruita da soli. Ora, dunque, smetteranno di atteggiarsi da “professori” e di dare lezioni agli altri paesi “studenti” indisciplinati. Il governo della signora Merkel non sarà più intransigente sull'austerità e cambierà atteggiamento in favore di una politica fiscale espansiva, coordinata a livello europeo, in tandem con il Quantitative Easing della BCE.

I morsi della crisi hanno moltiplicano le voci contrarie alle politiche di rigore finanziario, e si capisce con quanta facilità questa visione possa prendere piede. Sono sempre più numerosi quanti sostengono che abbandonare l'austerità significherebbe uscire automaticamente dalla crisi. C'è chi si accontenterebbe di allentare i vincoli di bilancio e chi chiede invece un vero e proprio ribaltamento del paradigma, l'espansione della spesa pubblica nel tentativo di “stimolare” la crescita economica. Tutte queste posizioni hanno trovato recentemente una sponda politica abbastanza forte nella decisione unilaterale di Hollande di non rispettare i vincoli di bilancio europei.

La situazione europea odierna a molti appare del tutto simile a quella del Giappone di qualche anno fa. Anche in Giappone la stagnazione economica e la deflazione venivano imputate alle politiche di rigore finanziario dei governi precedenti a Shinzo Abe, insediatosi nel 2012, e mirate alla riduzione dell'enorme stock di debito pubblico. Abe decise di assecondare questa visione, divenuta dominante a causa della crisi, e di interrompere l'austerità in favore di una impostazione neo-keynesiana. La nuova politica, nota ormai come abenomics, è basata su espansione della spesa pubblica, politica monetaria accomodante e (….promessa di) riforme strutturali.

Negli auspici di Shinzo Abe, così come nelle speranze del partito anti-austerity nostrano, questa politica dovrebbe favorire l'uscita dalla crisi e il rilancio dell'economia. Così però non è stato. Dopo una breve impennata la crescita è tornata su tassi deludenti. E proprio pochi giorni fa la Banca centrale giapponese – guidata dall'economista Haruhiko Kuroda, voluto proprio da Abe in quanto sostenitore della sua svolta di politica economica – ha comunicato che rafforzerà la propria strategia di quantitative easing. Il rischio che il Giappone ricada nuovamente in zona deflazione, infatti, è concreto. È un chiaro segnale che tutta l'impalcatura dell'abenomics sta entrando in crisi e che le illusioni del partito anti-austerity a breve potrebbero ricevere un duro colpo.

Per di più, a ben vedere, nelle nuove previsioni della Commissione non si intravede alcun reale problema per l'economia tedesca. Leggendo i dati con più attenzione ci si accorge che il PIL dovrebbe tornare a crescere quasi al 2 per cento già dal 2016. La disoccupazione è ferma al 5,1 per cento e scenderà sotto il 5 per cento nel 2016. I tedeschi hanno un bilancio pubblico in pareggio e un avanzo strutturale di mezzo punto percentuale. E, soprattutto, il loro debito pubblico si sta riducendo. Nel 2016 tornerà sotto il 70 per cento!

La verità è che l'economia tedesca rimane distante anni luce da quelle dei PIIGS. E il rallentamento previsto nell'autumn forecast non è certo un problema per il governo tedesco. Le sirene dell'abenomics vorrebbero far credere che la Germania sta entrando in crisi e presto rivedrà le proprie posizioni sul rigore finanziario. La realtà, però, è ben diversa. E per ora non credo che vedremo i tedeschi protestare in piazza e chiedere la fine delle politiche di austerity.

@amedpan

Abenomics grande