logo editorialeOggi non c'è una sana competizione al rialzo nella politica italiana e a breve non ci sarà. Se l'alternativa al PD è il trittico populista Lega/FdI/M5S, se l'opposizione interna al partito guidato da Matteo Renzi è quella rappresentata da Stefano Fassina e Gianni Cuperlo, se il patto del Nazareno (tu governi, ma non tocchi i miei interessi costituiti) uccide per asfissia e volontà berlusconiana ogni possibile ricostruzione del centrodestra, allora l'unico bipolarismo reale è lo scontro tra la leadership renziana e la sinistra sindacale di Landini e della Camusso. Così, l'elettore "mediano" finisce per accontentarsi di quel che questo governo fa, perché altri farebbero solo peggio alle sue tasche e al suo futuro. Ma nessuna democrazia avanza senza una concreta dialettica tra opzioni e ricette di governo, senza un continuo mettere sul fuoco le "cose da fare", senza pungoli e stimoli a fare di più e meglio.

In questi giorni tiene banco sui giornali la contesa sulla riforma del lavoro. È all'esame del Parlamento una legge-delega, che fisserà principi e criteri ai quali l'esecutivo dovrà attenersi nell'emanazione di uno o più decreti legislativi. Il premier è intenzionato a mostrare i muscoli ed è pronto anche a porre la questione di fiducia nel passaggio alla Camera dei Deputati, per mettere la minoranza PD nell'angolo. Ma in quel partito la cultura dominante, anche tra tanti che apertamente si proclamano renziani, è diffidente (o ostile) rispetto al superamento del modello "proprietario" del posto di lavoro: di riffa o di raffa, qualcosa alla fine il governo cederà sul testo finale. E dunque, quanto sarebbe opportuno aprire un fronte sviluppista e modernizzatore "alla destra della Leopolda", che mostri quanto di più si potrebbe fare, che tiri la corda dal lato opposto.

La legge di Stabilità per il 2015 ha iniziato il suo cammino parlamentare. È già cambiata nei suoi saldi rispetto alla prima sintesi powerpointesca, perché la Commissione Europea ha chiesto e ottenuto maggiore rigore nel contenimento del deficit. Ma, pur a saldi invariati, ci fosse qualcuno che avesse chiesto più incisività nel tagliare spesa pubblica e tasse! Sull'Irap, che sarà provvidenzialmente ridotta dal 2015 (ma con effetti dal 2016, quando le aziende pagheranno il saldo) si levano solo poche voci sullo scandalo della retroattività della norma che riporta l'aliquota dal 3,5 al 3,9% fin dal 2014, dopo che in primavera avevamo solennemente annunciato al mondo che l'Italia aveva iniziato a ridurre le tasse sulle imprese. Dobbiamo aspettare così un anno e mezzo prima che il sistema produttivo si accorga dell'alleggerimento, intanto violiamo e maltrattiamo lo Statuto del Contribuente.

Peraltro, quel taglio primaverile dell'Irap oggi revocato era stato coperto dal contestuale aumento dal 20 al 26% della tassazione sui rendimenti del risparmio (che è invece sopravvissuto al dietrofront sull'Irap), a cui con la legge di Stabilità si sono aggiunti gli aggravi sui fondi pensione. C'è in Parlamento e soprattutto nella maggioranza di governo qualcuno che dica apertamente che è profondamente sbagliato illudersi che l'Italia possa tornare a crescere nel medio-lungo periodo se si depaupera il risparmio accumulato? I fondi-pensione possono essere i veri sindacati dei lavoratori, attenti al loro reddito, al loro welfare e spesso alla sopravvivenza delle aziende (vedi la vicenda che ha portato al salvataggio della Chrysler). Sono uno strumento formidabile di democratizzazione dell'economia, penalizzarli è a dir poco miope, bisogna al contrario favorire una graduale transizione - soprattutto per i giovani - dalla previdenza pubblica a quella privata, più redditizia e forse anche più solida dell'Inps.

Ancora, quando si aprirà finalmente il dossier delle aziende municipalizzate, decretando l'uscita della politica dai consigli di amministrazione e dai ruoli di gestione? Sinceramente, non si può fare troppo affidamento che il solo PD (con tanti amministratori e dirigenti di quelle società tra i suoi iscritti...) possa e voglia voltare definitivamente pagina. Quando si porrà con serietà la necessità di una nuova stagione di ricerca ed estrazione di idrocarburi nel sottosuolo italiano, nel mar Adriatico e nel Canale di Sicilia? Dovremmo stare a guardare gli altri paesi rivieraschi godere delle risorse comuni (perché lo fanno, ci piaccia o no!), dividendo con loro i rischi?

Potremmo continuare a lungo, perché l'immobilismo decennale ha trasformato in urgenze e necessità immediate alcune riforme che in passato apparivano prospettiche. Oggi sono emergenze, di cui pochi parlano e di cui nessuna forza politica si fa autenticamente e credibilmente promotrice. Lo ha scritto Marco Faraci su questo webmagazine: l'Italia ha oggi bisogno di una rottura totale dello status quo, purtroppo non basta il riformismo blairiano nell'epoca del declino; la priorità è la creazione di nuova ricchezza, non la sua redistribuzione. Oggi il governo Renzi è davvero l'unico governo possibile, perché il centrodestra attuale non saprebbe amministrare nemmeno un condominio, ma la condanna e il compito degli innovatori è quello di aprire un nuovo campo di confronto e di proposte sviluppiste "alla destra della Leopolda".

@piercamillo