L’operazione trasparenza è riuscita. Il Sinodo straordinario sulla famiglia è andato sostanzialmente in diretta, dai testi proposti alle maggioranze e minoranze che attorno a essi si battagliavano, fino alle votazioni senza esito sui due punti più sensibili, la comunione sacramentale ai divorziati e il riconoscimento morale delle unioni gay.

Quel che non è stato reso ufficialmente noto, è comunque filtrato dalle stanze e dalle dispute “segrete” di un Sinodo pubblico per statuto e per decisione del Pontefice, che anziché cercare un accordo impossibile, ha preferito mettere la Chiesa davanti allo specchio dei propri disaccordi, lasciando che chiunque ne vedesse e soffrisse il travaglio.

È riuscita anche l’operazione verità? E soprattutto, la trasparenza del Sinodo, che mostra una Chiesa incapace di trovare un’unità di dottrina sui temi dell’etica sessuale e familiare, quale verità racconta?

Secondo la vulgata progressista e conservatrice, entrambe stigmatizzate da Francesco nel suo discorso conclusivo, la verità del dissidio e della possibile conciliazione starebbe nel modo “corretto” di intendere il sesso e la famiglia, alla luce della Tradizione e dello spirito del tempo, e nell’individuazione di un punto dottrinale e pastorale in cui la Chiesa tutta possa riunificarsi e riconoscersi.

Da questo punto di vista, raccontano le cronache, hanno vinto i conservatori, impedendo che quel punto di unità si spostasse troppo distante dai valori inconcussi della Tradizione. Mi sembra un modo abbastanza superficiale di interpretare la conclusione del Sinodo, che è invece finito intrappolato, come era prevedibile e forse inevitabile, proprio dalla paradossale convergenza attorno a un'idea esclusivistica e tassonomica del Vangelo della famiglia.

La differenza tra i conservatori e i progressisti non pare infatti stare nel modo di intendere il problema, ma solo nel modo di risolverlo. Entrambi i partiti sembrano riconoscere, anche se da posizioni rovesciate, la centralità dei temi della morale sessuale e familiare, come, più in generale, delle questioni bioetiche per la definizione dell'identità della Chiesa contemporanea e del suo rapporto con il popolo dei fedeli.

L’identificazione della questione antropologica con i dilemmi dell’etica medica e scientifica e del diritto di famiglia ha schiacciato la riflessione dottrinale su un deontologismo etico-giuridico, che dall’esterno verrebbe da considerare troppo ristretto per contenere e esprimere la profezia di salvezza della Chiesa universale e dall’interno, con ogni evidenza, non può che accendere passioni e divisioni manifestamente non conciliabili in un mondo cattolico che non ha, né può più trovare su questo piano alcuna vera unità culturale.

La Chiesa, su questi temi, è irriducibilmente pluralistica. Il pluralismo morale e dottrinale è dentro la Chiesa, non la minaccia dall’esterno, ma la costituisce dall’interno nella sua dimensione non solo sociale, ma ecclesiale. È questa verità – mi pare – il vero macigno e la vera pietra dello scandalo in cui i padri sinodali torneranno a inciampare nel Sinodo ordinario del 2015.

@carmelopalma