logo editorialeCi sono buone ragioni sia per ritenere sbagliate le “correzioni” al cosiddetto decreto lavoro su tempo determinato e apprendistato approvate in Commissione alla Camera, sia per ritenere sbagliato uno scontro nucleare su di un provvedimento di transizione che, stando ai propositi dell’esecutivo (e dunque, in linea di principio, della sua maggioranza), dovrebbe accompagnare la riforma organica del mercato del lavoro e del sistema degli ammortizzatori sociali e poi, per così dire, estinguersi nel nuovo Job Act.

La verità è però che il decreto lavoro diventa il terreno di scontro perché quasi nessuno, né nella maggioranza, né nell’opposizione, ha voglia di misurarsi con riforme strutturali e tutti preferiscono affrontarsi sul terreno conosciuto dei provvedimenti congiunturali e degli aggiustamenti e dei contro-aggiustamenti al margine, sul versante del mondo del lavoro – quello delle nuove assunzioni – su cui si scaricano, in assenza di alternative, le esigenze di flessibilità delle imprese e dove rebus sic stantibus non arriva, né potrebbe arrivare, la protezione di un sistema di tutele inestendibile e già di per sè insostenibile.

Come avere un mercato del lavoro competitivo e flessibile (tutto, non solo a valle del contratto standard) e un welfare non puramente assistenziale e dunque efficiente sia in termini sociali che economici? Quali scelte e quali rotture – a ben guardare, sia da destra che da sinistra – sono necessarie per sbloccare una riforma vagheggiata, ma politicamente fino a oggi impossibile? A questa domanda il governo ha risposto rimandando il Job Act a tempi migliori, sperando di smuovere il mercato del lavoro e la fiducia delle imprese con la liberalizzazione dei contratti di accesso e per il resto tamponando le falle del sistema con pochi mezzi e poca voglia di affrontare problemi troppo complicati.

Le risse sul contratto a tempo determinato – che erano prevedibili e che troveranno presumibilmente una soluzione non troppo lontana dal testo approvato in Commissione alla Camera – sono un effetto collaterale della logica (e della trappola) delle riforme a tempo determinato, del governo dell’emergenza preferito alla politica, ben più rischiosa, della normalità. Sul decreto lavoro, alla fine tutti potranno dire di aver portato a casa qualcosa. Il problema è che a fini dell’occupazione, per non dire della crescita, è il decreto lavoro in sé a essere poco più che nulla.

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