logo editorialeTra i tanti modi che aveva per far entrare la questione del governo nella partita delle riforme, Letta ha scelto quello più difensivistico, spendendosi a sostegno della richiesta della minoranza Pd e di Alfano sulla legge elettorale – il ritorno alle preferenze – e risparmiandosi sulle risposte, cioè sulla tenuta e sul ruolo di un governo sospeso in un vuoto politico ormai vertiginoso, che gli sarebbero toccate e che continua invece a rimandare in attesa di tempi migliori.

Del governo dice di non volere cambiare quasi nulla – nessun rimpasto, nessun salto nel buio di una crisi pilotata, nessuna rottura della routine e del day by day, tra un passo avanti e due passi indietro, cui per quasi un anno si è dato il nome di "stabilità" – mentre dell'accordo che Renzi ha stretto col suo ex alleato Berlusconi il capo del governo gradirebbe disfare quasi tutto e comunque l'essenziale, per un'alternativa, peraltro, decisamente peggiore. Sembra anche lui seduto sulla riva del fiume ad aspettare, come tanti nel Pd, il passaggio del cadavere politico del neo-segretario, ma potrebbe anche sbagliarsi e alla fine assistere al passaggio di quello del suo governo.

Nella gerarchia delle priorità di un Paese letteralmente intrappolato dalla sentenza sventata della Consulta, Letta avrebbe potuto imporre, se non al primo posto assoluto, ma almeno ex aequo con il tema della riforma elettorale e istituzionale, il problema del durante e del dopo di una crisi nerissima, che non si dissolverà con la fine del bicameralismo perfetto, né con l'instaurazione di un sistema elettorale italo-spagnolo. Insomma, mentre si discute della governabilità e delle sue condizioni istituzionali, deve pure continuarsi a discutere del governo e delle sue minime ambizioni politiche, no? Invece Letta niente, parla d'altro e azzarda anche lui suggestioni costituenti.

Forse il Presidente del Consiglio si sente al sicuro, al riparo della tutela di Napolitano, dell'indubitabile credito che riscuote in Europa (e non solo in Europa) e dell'oggettiva imprescindibilità di una maggioranza che in questa legislatura non ha alternative, né leader alternativi. Renzi sembra molto più a rischio, stretto nella morsa degli "amici" che lo vorrebbero morto, ma non hanno la forza di torcergli un capello, e dei "nemici", cioè il Cav., che gli tengono bordone, ma potrebbero anche da un momento all'altro mollarlo in mezzo al niente di una quasi-riforma abortita (do you remember la Bicamerale D'Alema?) infliggendogli un colpo durissimo e potenzialmente mortale.

Questo spiega il surplace di Letta e l'agitazione del segretario PD: il primo vuole guadagnare tempo, il secondo vuole evitare di perderlo e di farsi logorare dai ritardi. Ma non spiega che tipo accordo ci sia tra i due. A occhio e croce, malgrado le rispettive garanzie, proprio nessuno.