logo editorialeSilvio Berlusconi è ormai l'antitesi del leader politico di cui l'Italia ha bisogno per uscire dallo stato comatoso in cui è caduta: ha governato questo Paese per otto anni su dieci dal 2001 al 2011, l'anno in cui l'Italia è giunta ad un passo da un drammatico default; ha sempre fallito clamorosamente i suoi obiettivi programmatici; la sua condanna in via definitiva per corruzione indurrebbe qualsiasi personalità politica europea a lasciare qualsiasi ruolo.

Volenti o nolenti, tuttavia, Berlusconi gode di un consenso ampio. Non solo: quel consenso fa di Berlusconi l'unico leader possibile dell'attuale centrodestra italiano, qualsiasi cosa s'intenda con tale termine. Può piacere o meno, ma in Italia il centrodestra è Berlusconi, per volere di una quota molto significativa dell'elettorato. Che poi questo abbia comportato l'espulsione di fatto di chi aveva un altro modo di intendere il centrodestra, è un altro discorso. Se così è, se persino Angelino Alfano considera l'alleanza elettorale con Forza Italia come un dato irrinunciabile per il suo NCD, perché mai Matteo Renzi non dovrebbe pragmaticamente tentare di stipulare un accordo sulle regole elettorali con Silvio Berlusconi? Peraltro, a differenza di qualche leader di centrosinistra del passato, il segretario del PD rende palesi le sue intenzioni, non partecipa a mangiate segrete di crostata a casa di Gianni Letta.

Sono venti anni che si evocano riforme istituzionali "condivise" e sono venti anni che non c'è alcuna condivisione. La Bicamerale presieduta da Massimo D'Alema fallì clamorosamente, arenandosi sul tema della giustizia. I tentativi di correzione del Mattarellum di fine anni Novanta finirono nel nulla. La riforma costituzionale del 2001, che attribuì poteri legislativi alle Regioni, fu approvata con i soli voti del centrosinistra ed è una porcata istituzionale di cui paghiamo pesantemente gli effetti. La riforma costituzionale del 2005, che ammodernava in profondità il funzionamento delle istituzioni repubblicane (superava il bicameralismo perfetto, prevedeva l'elezione diretta del premier, riduceva i parlamentari e riequilibrava i poteri tra Stato e Regioni) fu bocciata nel referendum confermativo perché il centrosinistra vi si scagliò massicciamente contro. Il Porcellum fu approvato dal centrodestra nel 2006 a colpi di maggioranza.

Delle due l'una, dunque: o si pensa che con Berlusconi nessun accordo sia possibile, né ieri, né oggi, né mai (e allora si dovrebbe rinunciare anche solo a usare l'aggettivo "condivise") o la condivisione la si cerca con lui e da lui da lui la si pretende (cosa peraltro non scontata, conoscendo l'irresponsabilità del personaggio). Tertium non datur. Paradossalmente, chi grida alla scandalo perché Renzi tenta il dialogo con Berlusconi finisce per essere il vero alleato del Cavaliere: la legge elettorale attuale, il Porcellum residuato che la Corte Costituzionale ha lasciato in piedi, permette a Forza Italia di pareggiare anche le prossime elezioni politiche, alla Camera oltre che al Senato. E a Berlusconi, in fondo, il pareggio non dispiace, come a Grillo.

Cercando il dialogo, Renzi sfida il Cavaliere e lo mette spalle al muro: l'unico accordo possibile è un maggioritario, un sistema in cui chi vince governa e chi perde va all'opposizione, un sistema il cui il pareggio è un incidente della storia, ma non l'esito fisiologico del sistema elettorale. Forza maggioritario e forza accordo, insomma. E questo auspicio dovrebbe animare anche chi - come Scelta Civica - punta ad essere nel panorama politico una forza coraggiosamente e radicalmente riformatrice: il maggioritario è il sistema elettorale in cui le idee e le istanze di cambiamento trovano terreno fertile, il proporzionale è la palude dell'immobilismo.