logo editorialeUn do ut des apparentemente molto ganzo. Se Grillo rinuncia alla rendita che gli deriva dallo scandalo di istituzioni costose e di una legge elettorale inconcludente – e dunque collabora attivamente al processo delle riforme –  allora il Pd rinuncia ai finanziamenti pubblici di cui ancora avrebbe diritto. La sorpresa di Renzi al leader del Movimento 5 Stelle era attesa, ma non è sembrata neppure così sorprendente. Renzi usa la tecnica di rincorrere gli avversari sul loro terreno, anziché quella, molto di sinistra, di difendersene apprestando sul proprio le misure atte a contrastare la minaccia.

La sinistra si rinserra dentro i propri confini tradizionali, Renzi li attraversa avanti e indietro con un’agilità caratteristicamente post-ideologica. Così il neo-segretario può persuadere molti ex elettori berlusconiani, proprio perché mostra di rispettarne la “berlusconianità” e se ne presenta come un interprete più fresco e credibile. Allo stesso modo prova a contendere a Grillo l’elettorato antipolitico, di cui dà segni di condividere l’impazienza, rappresentando Grillo come l’ostacolo e non più il mezzo per la moralizzazione della vita pubblica.

Ma per far questo ha senso incalzare Grillo sul terreno antipolitico? Ha senso sfidarlo a ridurre gli stipendi dei politici e i fondi dei partiti, ad abolire il Senato, a rottamare le Regioni e a tagliare a peso le strutture della burocrazia politica? Ha senso sfidare Grillo su questo terreno senza sfidare il presupposto del suo discorso antipolitico, per cui partiti e istituzioni sono le metastasi del tumore costituito dalla democrazia rappresentativa e dunque i tagli non si giustificano per migliorarne l’efficienza, ma per restituire la sovranità alla massa rumorosa, anonima e impersonale del popolo e per vendicare l’usurpazione del suo diritto a decidere?

Per Grillo la politica è solo una questione di “piccioli” perché, in fondo, è solo la sovrastruttura ideologica della struttura di sfruttamento rappresentata dalla democrazia delegata. Allora, con Grillo si può parlare di “piccioli” così, a valle di ogni premessa, a prescindere da tutto il resto? Pensiamo che non si possa e che soprattutto non serva.

La risposta di Grillo – Renzi, caccia la grana, cacciala tutta, un miliardo dal ’93 ad oggi secondo i calcoli del M5S – non tradisce alcun imbarazzo e alcuna difficoltà. Grillo può sempre rilanciare e non intende riconoscere nulla agli argomenti che, secondo la vulgata che ha imposto, perpetuano la truffa democratica e il raggiro del popolo sovrano. Non vuole cambiare piano, né, peraltro, gli converrebbe. Nella gara a chi taglia di più nella contabilità della casta, è destinato comunque a vincere lui, che taglierebbe non solo il Senato, ma l’intero Parlamento, bastando alla “vera” democrazia l’infrastruttura della rete web e gli algoritmi dei server di Casaleggio, capaci miracolosamente di distillare la volontà generale del popolo liberato dalla prigione della rappresentanza.

Il nodo della sfida a Grillo sta qui, nella profezia stessa di questo guaritore del malocchio democratico, nella “salvezza” promessa da questo esorcista del maligno dei partiti. Renzi dovrebbe trovare la misura di questo discorso. La guerra a D’Alema e agli elefanti del Pd è finita. Ne inizia un’altra ben più complicata e quella del “grillismo dal volto umano” non è più per Renzi un’exit strategy, ma una trappola.