logo editorialeDella sentenza di ieri del Tar del Lazio che ha sospeso la commissione ministeriale nominata per valutare il metodo Stamina, annullandone di conseguenza anche il parere negativo, c’è un passaggio più significativo degli altri, che riportiamo per intero: “è pertanto necessario che ai lavori partecipino esperti, eventualmente anche stranieri, che sulla questione non hanno già preso posizione o, se ciò non è possibile essendosi tutti gli esperti già esposti, che siano chiamati in seno al Comitato, in pari misura, anche coloro che si sono espressi in favore di tale Metodo”.

Per questa ragione la composizione della commissione sarebbe stata giudicata illegittima, perché composta da, testuale, “professionisti che in passato, prima dell’inizio dei lavori, avevano espresso forti perplessità, o addirittura accese critiche, sull’efficacia scientifica del Metodo Stamina”.

A parte la scelta un po’ naif delle parole (che cosa vuol dire, esattamente, “efficacia scientifica”?) quel che sembra sfuggire ai giudici del Tar del Lazio è che non da ieri, ma da almeno quattro secoli la scienza funziona in altra maniera, da quando qualcuno ha compreso che la verità scientifica non si impone attraverso la forza retorica delle argomentazioni, ma attraverso quella pratica delle dimostrazioni, sottraendo in questo modo la scienza dalla giurisdizione dei tribunali ecclesiastici. E attraverso la pubblicità dei risultati, che possono e devono essere sottoposti a verifica da chiunque abbia voglia di cimentarsi nell’impresa. E noi invece, lo abbiamo ripetuto alla nausea, ancora non sappiamo cosa accidente ci sia in quelle fiale.

Invece il Tar sembra preferire il metodo speculativo a quello scientifico: mettiamo insieme un po’ di esperti, un po’ a favore e un po’ contro, e vediamo cosa ne esce fuori. La par condicio, come a Ballarò. Oppure, meglio ancora, la commissione dovrebbe essere composta da scienziati che “non hanno preso posizione”. E pazienza se quelli che non hanno preso posizione sono, con ogni probabilità, quelli che ne sanno meno. Almeno, tra le persone serie funziona così. Dopo il processo dell’Aquila, quello che ha visto la condanna dei membri della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile, i giudici tornano a suggerire in maniera esplicita agli scienziati che è meglio tacere.

Si può passare per prevenuti, quindi inattendibili, quando va bene. Condannati per omicidio colposo, quando va peggio.