logo editorialeIl risultato delle regionali lucane dimostra con buona evidenza due fatti che sono destinati a pesare in modo rilevante sulla scelta del "nuovo" sistema elettorale nazionale e sul destino della legislatura.

Primo: la forza del M5S esce regolarmente ridimensionata da elezioni improntate a una dinamica competitiva, come quelle legate all'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di regione. Ed è più che ragionevole presumere che un analogo effetto si avrebbe anche con il passaggio dal Porcellum ad un sistema che "maggioritarizzi" il gioco politico. Si potrebbe obiettare che il M5S ha sbancato alle elezioni del 2011, tripolarizzando il sistema politico, malgrado un sistema proporzionale fortemente corretto dal premio di maggioranza e dall'elezione "semi-indiretta" del capo dell'esecutivo, travestito, per ragioni di compatibilità costituzionale, da capo-coalizione. Ma il premio di maggioranza, in sé, non innesca una competizione maggioritaria, come invece accade in elezioni a base uninominale. E l'assenza di un meccanismo esplicitamente presidenziale, a vantaggio di quello coalizionale, rende oggi il voto nazionale meno contendibile e efficiente di quello locale.

Secondo: la forza dei partiti organizzati, e tipicamente del Pd, emerge in elezioni fortemente "territorializzate" e quindi sarebbe favorita, sul piano nazionale, da un sistema di voto basato su collegi elettorali corrispondenti a realtà socio-territoriali vere e non astratte (non le intere province o le intere regioni) e su una dinamica politica effettivamente locale. Detto in altri termini, ciò che fa la debolezza del M5S fa la forza del PD, e viceversa, e dunque c'è da aspettarsi che il muro contro muro tra Renzi e Grillo sulla riforma elettorale sia destinata a condizionare il seguito della legislatura e a cronicizzare lo stallo, che va benissimo al M5S, per cui il Porcellum è un sistema perfetto, e malissimo al Pd renziano, che non può neppure immaginare di andare al voto per ritrovarsi, con ogni probabilità, a dovere rifare un governo di grandi o medie intese con Berlusconi o i suoi eredi "moderati".

Morale: per tornare al Matterellum, con o senza correzione proporzionale, o a un doppio turno di lista o di collegio (più o meno misto e proporzionalizzato) non basta il Pd. Per lasciare le cose come stanno, invece basta l'opposizione di Grillo. A fare la differenza, ovviamente, e a evitare la posizione di blocco del M5S potrebbero essere teoricamente i voti del vecchio o del nuovo centro-destra. Ma Alfano non ha l'interesse a cambiare la legge elettorale oggi, né a farlo secondo una logica che restituirebbe di fatto al partito del Cav. la guida della coalizione. Basta leggere cosa dice a proposito il Ministro Quagliariello, per cui la riforma della legge elettorale dovrebbe seguire (campa cavallo) la riforma costituzionale e qualunque accordo sulla legge elettorale che escludesse gli alfaniani renderebbe certa la crisi di governo. D'altra parte al Nuovo Centrodestra tornare al voto col Porcellum per risganciarsi dopo il voto dalla coalizione del Cav. e ricostituire un governo Letta (o similari) è la prospettiva più logica e pagante. Rimane quindi il Cav. che potrebbe, se avesse un senso meno "presente" e soggettivo del proprio interesse politico, offrire a Renzi i voti per sbloccare lo stallo.

Il Sindaco di Firenze, guardando alla guerra di posizione combattuta finora nella commissione Affari Costituzionali del Senato, ha ragione a denunciare le larghe intese Grillo-Berlusconi per salvare il Porcellum. Ma la scissione del Nuovo Centrodestra cambia gli incentivi elettorali per le diverse forze della coalizione berlusconiana. Se fino a ieri il Cav. poteva sperare che tornare il voto con la stessa legge elettorale avrebbe portato più o meno allo stesso esito, rendendo imprescindibile il suo apporto alla formazione di una maggioranza al Senato, ora che Alfano gioca in proprio, Berlusconi ha ancora interesse a difendere una legge elettorale che serve sopratutto ai suoi nemici esterni e ai suoi avversari interni? Ne dubitiamo.